D’Onofrio: Occorre una nuova idea di partito

Non è la prima volta che si svolge un dibattito su una nuova disciplina legislativa dei partiti politici. Si tratta infatti di una esigenza che la nostra Costituzione repubblicana ha previsto nell’articolo 49, senza peraltro che durante la cosiddetta Prima Repubblica si giungesse ad una qualche idea di partito politico comune alle tre grandi filosofie che hanno dato vita alla costituzione medesima.

Occorre infatti aver presente che la sconfitta militare italiana nella seconda guerra mondiale aveva finito con il coagulare l’antifascismo, al quale avevano pur dato vita tre diverse idee di fondo proprio nel corso del “Ventennio” mussoliniano e all’indomani della fine della stessa seconda guerra mondiale.
Queste tre idee di fondo le ritroviamo per l’appunto proprio nella tessitura fondamentale della Costituzione italiana, sia per quel che concerne i diritti e i doveri fondamentali dell’individuo, sia per quel che concerne la stessa disciplina della iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della costituzione medesima.
Le tre filosofie che ispirano il pensiero politico all’Assemblea Costituente sono infatti quella che vede nell’individuo il centro dei diritti e dei doveri; quella che vede nella persona umana il centro della solidarietà; quella che vede nella classe il soggetto costitutivo dell’intero tessuto costituzionale. Allorché pertanto si passi a considerare le ragioni che non hanno consentito di dar vita a nessuna legge concernente i partiti politici, dobbiamo proprio aver presente che le tre filosofie costituenti intendevano il partito politico in quanto tale: quale partito di individui; quale partito di comunità; quale partito di avanguardia della classe operaia.
Queste tre filosofie di fondo si imbattono nel processo di costruzione dell’unità europea che è certamente compatibile sia con la visione individualistica sia con la visione comunitaria proprie della Costituzione italiana, ma che sono certamente alternative alla idea del ruolo anche politico della classe operaia, tipica espressione del modello sovietico di Stato.
Per tutta la Prima Repubblica pertanto si è finito con il chiamare partiti politici dei soggetti anche molto diversi fra di loro, ad esclusione della progressiva accettazione da parte di tutti del cosiddetto manuale Cencelli. Si è assistito pertanto alla trasformazione progressiva dei partiti politici complessivamente considerati, da strutture di raccordo tra la cosiddetta società civile e lo Stato in soggetti tendenzialmente portati ad occupare posizioni di governo nello Stato centrale e nelle articolazioni periferiche dello Stato medesimo o anche nelle nuove forme di governo degli enti locali.

La conclusione dell’esperienza storica dell’Unione Sovietica nel 1991; il processo di costruzione dell’Unità europea che giunge proprio nel ’91 al Trattato di Maastricht; la quasi repentina scomparsa di tutte le denominazioni politiche della cosiddetta Prima Repubblica nel corso del biennio ’92-’94 caratterizzato dall’avvento di “Mani Pulite” (fenomeno ancora non compiutamente compreso), hanno finito dunque con il dar vita ad una situazione nuova che non ha ancora trovato una sua compiuta declinazione proprio in riferimento al partito politico.
Nel corso di tutto il periodo che siamo soliti chiamare della Seconda Repubblica abbiamo di conseguenza assistito ad un dibattito non ancora concluso tra i sostenitori del cosiddetto”partito leggero” e i sostenitori del cosiddetto “partito pesante”. I primi sono apparsi in sintonia con la radicale mutazione della partitocrazia che aveva caratterizzato una lunga parte della cosiddetta Prima Repubblica; i secondi sono apparsi ed appaiono in qualche modo nostalgici proprio dei partiti della Prima Repubblica, anche a prescindere dai contenuti propri di quei partiti.
La stagione che stiamo vivendo da qualche tempo in Italia appare a sua volta caratterizzata da una sorta di rigetto dei partiti sempre più forte da parte dei cittadini. Si tratta di un fenomeno molto complesso ed articolato nel quale sono certamente visibili tratti di qualunquismo moralistico; tratti di autonomia della società dalle istituzioni; tratti di un rifiuto proprio dello strumento di raccordo fra società ed istituzioni. Qualora si guardi a quel che accade dovunque in Europa, possiamo pertanto rilevare che la questione del o dei partiti politici è una questione certamente presente anche al di fuori dei confini nazionali, pur se in nessuna parte è dato di rilevare un discredito altrettanto forte dei partiti politici da parte delle opinioni pubbliche locali. Siamo dunque in presenza di un fenomeno che non consente di limitarsi in qualche modo a discettare di “partiti leggeri” o di “partiti pesanti”.

Occorre per cosi dire una qualche idea nuova di partito politico, che sappia contemperare l’individualismo – sempre più finanziario – con il comunitarismo – sempre più umanitario. Si tratta di un compito di grande rilievo istituzionale sol che si consideri che la materia delle riforme istituzionali non può essere considerata materia esclusivamente tecnica – giuridica o sociologica che sia – perché si tratta di materia fortemente intrisa di società e di stato, mai come oggi fortemente condizionata dal processo di globalizzazione in atto. Alla costruzione di questo nuovo partito occorre dunque por mano prima ancora di definire la legge elettorale che pur costituisce parte essenziale della vita stessa dei partiti politici anche nuovi.

Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 25 febbraio 2012

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