D’Onofrio: Tra concertazione e Parlamento

La questione della nuova disciplina legislativa che concerne nell’insieme quel che siamo solito chiamare il “mercato del lavoro” ha posto in evidenza – anche questa volta – una questione di metodo: il rapporto tra concertazione e Parlamento, che ha ovviamente finito con l’influire su più di una questione di merito, con particolare riferimento alla peraltro “ingigantita” questione dell’articolo 18.
La questione di metodo è stata affrontata con particolare “durezza” anche questa volta: il ministro Fornero dapprima, e lo stesso presidente del Consiglio Monti dopo, hanno infatti affermato che si sarebbe comunque proceduto da parte del Governo anche senza il consenso formale delle diverse rappresentanze sindacali. Da questo punto di vista non si è trattato di una prima volta nella recente storia della Repubblica italiana, perché anche in passato – sia nella più volte “diffamata” Prima Repubblica, sia nella cosiddetta Seconda Repubblica (almeno fino all’avvento del Governo Monti) – vi sono stati momenti specifici di particolare tensione sulla appartenenza o meno del potere legislativo al Parlamento o, di volta in volta, ad altri soggetti che esplicitamente o meno si comportavano nel senso di essere sostanzialmente contitolari di questa o quella parte del potere legislativo medesimo.

Basti pensare a quel che concerne il tema della laicità dello Stato in riferimento a perduranti culture clericali, soprattutto sui temi dei diritti civili individuali e di gruppo; basti pensare al tormentatissimo rapporto tra magistratura e politica; basti pensare a quel che concerne l’aspetto sostanziale della politica nucleare nei rapporti internazionali; basti pensare al rapporto tra partiti politici e sindacati, proprio in riferimento alla disciplina del cosiddetto”mercato del lavoro”. Se pertanto si affronta il tema del rapporto tra concertazione e Parlamento in riferimento alla spettanza o meno del potere legislativo su questa o quella materia all’uno o all’altro soggetto, occorre aver presente che si tratta di una questione fondamentale che concerne proprio la natura stessa della sovranità parlamentare.
È di tutta evidenza pertanto che siamo in presenza di una questione di rilevante profilo politico-istituzionale generale. Il fatto che il Governo Monti abbia esplicitamente e formalmente rimesso al Parlamento l’insieme delle decisioni concernenti la nuova disciplina del “mercato del lavoro” assume pertanto sia il significato di una riproposizione della questione della concertazione in termini di autonomia del governo dalle organizzazioni sindacali, sia il significato di una sostanziale questione di fiducia nei rapporti tra Parlamento e Governo.

Appare infatti chiaro che il Governo può rimettere al Parlamento tutte le decisioni concernenti il “mercato del lavoro”, finendo con il trasformare in senso assembleare il nostro sistema di governo che invece è parlamentare. Affermare infatti che la questione ora è rimessa al Parlamento potrebbe persino significare che il Governo ritiene di essere limitato alla pura e semplice attuazione delle decisioni parlamentari. Se le cose non stanno così (come invece è del tutto ragionevole pensare), si deve ritenere che il Governo da un lato rimette al Parlamento la questione concernente le decisioni legislative, ma dall’altro si riserva di non accoglierle se – da un punto di vista politico – esso non concorda con le decisioni medesime. Si tratta in questo caso di una vera e propria questione di fiducia, che costituisce l’essenza della natura parlamentare del sistema di governo, perché questo si basa infatti sulla reciproca autonomia costituzionale del Parlamento da un lato e del Governo dall’altro. È in questo momento che entra in gioco la percezione stessa che il Governo Monti ha di sé medesimo.

La pienezza del potere legislativo viene riconosciuta infatti al Parlamento dopo che il Governo non si è ritenuto giuridicamente vincolato alle decisioni dell’intero arco sindacale. Ma allo stesso tempo il Governo non si rimette al Parlamento per qualunque decisione esso ritenga di adottare, ponendo sostanzialmente in gioco la propria sopravvivenza politica, perché di questo si tratta. L’imminenza di un significativo turno elettorale amministrativo ha introdotto un ulteriore e rilevante elemento di valutazione politica, come risulta evidente dalla discussione che si è svolta sullo strumento legislativo adottato dal governo in riferimento alla affermata iniziativa parlamentare.
Allorché si prende dunque atto che la situazione concerne il rapporto tra concertazione e Parlamento, è bene che si abbia presente la sostanza del potere legislativo a tutto tondo, e non limitarlo soltanto alle questioni del”mercato del lavoro”.

Di Francesco D’Onofrio, tratto da LIberal del 24 marzo 2012

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