D’Onofrio: Tra emergenza e transizione

Sembra già di tutta evidenza che i rapporti tra i partiti politici e il governo Monti stiano passando da quelli che li hanno caratterizzati nel contesto della emergenza economico-finanziaria a quelli che li stanno ora caratterizzando in questo processo di transizione, teso ad una nuova definizione ideale e programmatica dei partiti medesimi.
Se infatti l’emergenza aveva prodotto una sostanziale rottura del sistema delle alleanze elettorali di Pd e Pdl, la fase attuale – che si può definire di transizione verso il dopo-Monti – vive una sorta di stagione lacerante tra la sopravvivenza (in entrambi i due partiti maggiori) degli antichi fantasmi delle vecchie coalizioni dell’antico bipartitismo antagonistico, alla progressiva presa di coscienza che dopo il governo Monti le alleanze stesse non potranno più essere quelle di prima, quanto meno per quel che concerne i programmi elettorali. Appare sempre più evidente, pertanto, che non si tratta della “fantasiosa” contrapposizione di tecnici e politici al governo del Paese, ma della ben più corposa linea politica complessiva che il governo Monti sta ponendo sempre più in evidenza.

I provvedimenti legislativi che il governo Monti ha adottato o proposto sino ad ora hanno infatti un taglio complessivo che si muove nel solco del processo di integrazione europea iniziato alla metà degli Anni Cinquanta nel contesto della Guerra Fredda tra Est ed Ovest; ampliato notevolmente dopo la conclusione dell’esperienza storica dell’Unione Sovietica, a partire dal 1992; e giunto ora alla complicatissima convivenza del progetto europeistico nel contesto della globalizzazione. All’indomani della sconfitta del fascismo, infatti, i partiti politici italiani hanno vissuto il processo di integrazione europea soprattutto nel contesto della Guerra Fredda. Si può pertanto affermare che è proprio dal 1992 che il processo di integrazione europea è proseguito – da Maastricht in poi – ponendo a tutti i partiti politici italiani la sfida di un drastico adeguamento alla nuova realtà.
L’avvio della nuova globalizzazione da un lato pone pertanto una questione di coerenza europeistica, e dall’altro di partecipazione dell’Europa medesima al processo di globalizzazione in atto. Questa doppia sollecitazione è stata vissuta dai partiti politici italiani in modo molto diverso: all’inizio dell’esperimento Monti risultava decisiva l’emergenza economico-finanziaria italiana, mentre oggi appare sempre più imminente il passaggio politico al dopo Monti. Alla nascita del governo Monti risultava infatti prevalente la percezione della emergenza economico-finanziaria in cui si era venuta a trovare l’Italia, mentre oggi risulta sempre più evidente la percezione della necessità di andare oltre l’esperienza del bipolarismo “violento”, che aveva caratterizzato l’Italia dal 1994 a ieri.
Il sostegno parlamentare al governo Monti ha dunque rappresentato in modo evidente la sostanziale accettazione delle condizioni poste dal processo di integrazione europea, con particolare riferimento alla ormai famosa lettera della Bce dell’agosto scorso.

La prosecuzione dell’esperimento medesimo avviene oggi nel contesto di due questioni fortemente intrecciate ma formalmente distinte: da un lato, il nuovo mercato del lavoro, a partire dal “famigerato” articolo 18; dall’altro, il rilevante turno elettorale amministrativo, che viene vissuto “strabicamente” con la tentazione del ritorno all’indietro delle alleanze del vecchio bipolarismo, e con l’apertura alle novità che ciascun partito politico deve affrontare in questa stagione di innovazione che parte proprio dall’esperimento Monti.
È in questo contesto che vanno valutate sia le affermazioni fatte all’estero dal presidente del Consiglio sul rapporto tra consenso al governo e dissenso verso i partiti politici; è sempre in questo contesto che vanno valutate le distinte reazioni sociali e politiche al progetto concernente il mercato del lavoro; è in questo contesto infine che si dovrà valutare se l’emergenza economico-finanziaria (posta in evidenza dal più recente andamento dello spread) dovrà finire con il tradursi in una sorta di continuazione di questo “strano” rapporto tra Parlamento e governo, o se i partiti politici riusciranno a presentarsi alle prossime elezioni politiche con proposte di governo alternative sia rispetto al processo di integrazione europea in quanto tale, sia all’interno di valori comuni del processo medesimo.
Questo appare infatti il bipolarismo – “mite” o europeo – dell’epoca presente. Il governo Monti sta infatti operando nel senso della costruzione di elementi comuni a chiunque voglia combattere nel contesto della prosecuzione del processo di integrazione europea. È questo il bipolarismo che contrappone oggi in Francia Sarkozy ad Hollande: alternativo l’uno all’altro ma sempre nel contesto dell’integrazione europea. È questo il bipolarismo tra Cdu e socialdemocratici che ha caratterizzato l’alternativa in Germania mai impedendo la Grande Coalizione. Non è stato questo il bipolarismo che ha contrapposto la Dc al Pci nel secondo dopoguerra italiano. Non è stato questo il bipolarismo che ha contrapposto berlusconiani e antiberlusconiani in quella che siamo soliti chiamare Seconda Repubblica. Non si tratta dunque di alcun ritorno all’indietro, ma di andare avanti oltre i fallimenti del bipolarismo “violento” che abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Dei tre valori fondanti della Costituzione italiana (individuo, persona e classe operaia), i primi due sono stati all’origine del processo di costruzione europea, e sono di fatto oggi il motore delle iniziative del governo Monti. All’indomani, pertanto, del turno amministrativo e delle deliberazioni parlamentari sul mercato del lavoro, diventerà sempre più chiaro lo spartiacque tra emergenza e transizione.

Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 31 marzo 2012

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