D’Onofrio: finanziamento dei partiti politici e costo della politica

Le clamorose vicende degli ultimi giorni hanno fatto riemergere con forza il tema del finanziamento pubblico dei partiti politici. Non si tratta soltanto del se e del quanto del finanziamento pubblico ai partiti politici in quanto tali, perché al fondo la questione concerne proprio la natura stessa di quelle particolari associazioni che sono i partiti politici.
Non si tratta di una questione esclusivamente o anche prevalentemente economica, perché si tratta in sostanza del rapporto tra potere pubblico e diritti privati. Non occorre infatti riandare all’Ottocento per scoprire che sul tema dei partiti politici si sono svolte le più significative indagini sociologiche, economiche, politiche e giuridiche. Queste concernevano proprio i nuovi soggetti politici che stavano pian piano sorgendo ed affermandosi sempre più quali strumenti per la conquista e l’esercizio del potere locale e nazionale. Affrontare pertanto la questione del finanziamento dei partiti politici deve costituire oggetto di un dibattito ampio e largo sul potere oggi in Italia.
L’analisi storica degli ultimi due secoli ci insegna infatti che non esiste in nessuna parte del mondo una idea unica di partito politico. Anche senza voler andare ad analisi rigorose dell’esperienza britannica o di quella francese o di quella tedesca o di quella spagnola o di quella italiana, si finisce infatti con il rilevare l’intreccio complesso che esiste tra partiti e Stato da un lato, tra partiti ed organizzazioni economiche della società dall’altro, tra partiti ed esperienza religiosa dall’altro ancora. In questi complessivi e fondamentali intrecci risiede la ragione ultima del fatto che non esiste una idea unica di partito politico, ma idee diverse di partiti politici, proprio perché la conquista e l’esercizio del potere costituisce l’essenza stessa del partito politico. E, come è noto, l’una e l’altro sono stati e sono obiettivi molto diversi delle esperienze concrete dei partiti politici europei. Occorre pertanto operare nel contesto di quel che accomuna comunque tutti i partiti politici, anche a prescindere dalle diversità riscontrabili tra di essi. È a questo punto che viene in gioco la questione del rapporto tra democrazia e partito politico.

Si afferma ripetutamente che il finanziamento pubblico dei partiti politici è teso ad impedire che siano gli interessi privati organizzati a determinare anche la struttura e il funzionamento dei partiti politici, laddove dovrebbero essere proprio essi capaci di determinare persino gli obiettivi cosiddetti “generali”, alla stregua dei quali dovrebbero essere composti i diversi interessi”particolari” economicamente rilevanti. È a questo punto che viene in gioco non più soltanto il finanziamento pubblico dei partiti politici, ma l’estensione stessa del potere che essi esercitano una volta che o almeno pro-quota – il potere nelle istituzioni locali e nazionali. Il finanziamento dei partiti politici deve pertanto tenere conto anche della estensione di questo potere locale e nazionale, che si è tradotto sempre più nel potere di nomina dei componenti non solo degli organi di governo locali e nazionali in senso stretto, ma anche della svariata congerie di istituzioni comunque collegate agli organi di governo locali e nazionali.
In tempi di crescente crisi della produzione e del lavoro, quali sono i tempi che anche l’Italia sta vivendo (come dimostrano anche i drammatici suicidi per motivi economici ai quali stiamo assistendo), risulta sempre più evidente che finanziamento pubblico dei partiti e costo complessivo della politica sono sempre meno accettati dai cittadini singoli o associati che siano, quali che siano i fattori costitutivi della spinta ad organizzarsi in partiti politici per la conquista del potere.
L’intreccio sempre più evidente tra le affermazioni della sovranità popolare da un lato (referendum compresi), e quella sorta per così dire di circolazione extracorporea dei partiti politici medesimi dall’altro rende ormai indilazionabile una decisione complessiva che ovviamente non può limitarsi agli aspetti puramente esteriori alla vita dei partiti politici medesimi.

Il richiamo all’articolo 49 della Costituzione deve necessariamente tener conto sia delle ragioni che indussero i costituenti ad affermare questo articolo quale parte essenziale dei diritti dei cittadini, sia delle ragioni fortemente politiche che fino ad ora hanno concorso a non far disciplinare il soggetto partito politico persino nello spirito del minimo comun denominatore che li concerne, sia a definire per un tempo ragionevolmente lungo la quantità di risorse pubbliche complessive che si devono chiedere agli italiani perché vivano in una democrazia articolata in partiti politici.
Gli avvenimenti di questi giorni possono dunque rappresentare una occasione da utilizzare per una adeguata riflessione complessiva sul rapporto tra il finanziamento dei partiti politici e il costo della politica in un Paese di democrazia occidentale matura.

Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 14 aprile 2011

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