C’è un gran parlare di “antipolitica”. Occorre però una precisazione. È come se si assistesse al coagularsi in una generica denuncia dell’antipolitica di fenomeni studiati ed approfonditi in modo molto diverso l’uno dall’altro: populismo; demagogia; qualunquismo; antiparlamentarismo; antipartitismo. Bisogna pertanto cercare di comprendere questi fenomeni, comparsi in modi e in tempi diversi. Nella generica denuncia dell’antipolitica vi è anche il confluire di atteggiamenti e di valutazioni diverse, soprattutto da parte di quanti sono impegnati nell’esercizio di quella specifica funzione pubblica che è l’attività politica. Occorre in altri termini cercare di ripercorrere le tappe che si prendono in considerazione di volta in volta, per valutare come e perché questi specifici fenomeni si sono manifestati anche in passato, e quali risposte hanno ottenuto.
Per quel che concerne il populismo, occorre infatti aver presente che sotto questo fenomeno si sono nascoste e si nascondono forme varie di contestazione anche radicale proprio della specifica funzione politica. Questa infatti ha finito con l’essere considerata – soprattutto a partire dalla fine dell’Ottocento – una funzione specifica distinta in quanto tale da altre funzioni che hanno caratterizzato l’organizzazione della società, in particolare di quella italiana. Il populismo pertanto ha rappresentato un fenomeno di contestazione dello stesso processo di formazione dell’Unità nazionale, mediante la contrapposizione del popolo alla società, e quindi la contrapposizione del popolo a quanti esercitavano la funzione politica che tendeva alla unificazione.
Da questo punto di vista, occorre avere sempre presente il significato diverso che hanno avuto i plebisciti di unificazione di specifiche parti del territorio nazionale rispetto al nascente o al neonato Regno d’Italia. Per tutto l’Ottocento infatti abbiamo assistito a una sorta di contrapposizione tra governo in senso stretto e diverse società locali cui veniva chiesto di concorrere alla formazione dell’unità nazionale.
Molto diverso è stato il populismo all’indomani della Prima Guerra Mondiale, perché si è trattato di un fenomeno caratterizzato per la prima volta da grandi partiti politici a larga base sociale, quali erano il Partito Socialista e il Partito Popolare italiano.
In questo contesto il populismo ha finito con il rappresentare sostanzialmente un rifiuto proprio della natura asseritamente popolare dei due grandi partiti a base sociale, sebbene ritenute ontologicamente V diverse. Poco studiato è il populismo nel contesto del Ventennio fascista soprattutto perché si è finito col far coincidere fascismo e populismo, finendo con l’ignorare che anche nel contesto del fascismo si sono avuti significativi fenomeni di contrapposizione sociale rispetto al governo fascista nazionale. Ma in questo caso, più che di populismo si sarebbe più propriamente dovuto parlare di demagogia, intendendo per tale una sorta di contrapposizione di parti del popolo rispetto alle politiche del governo nazionale. È con la sconfitta militare italiana nella Seconda Guerra Mondiale che assistiamo a una sorta di intreccio di populismo e qualunquismo, mentre prendevano sempre più corpo i partiti politici quali soggetti di governo.
L’articolo 49 della Costituzione interviene pertanto in un contesto nel quale vi è una sorta di compromesso costituzionale tra società e popolo: i partiti vengono pertanto considerati a un tempo quali strumento di iniziativa privata e quali strutture decisive per la determinazione della politica nazionale. Questo straordinario salto di qualità interviene in un contesto culturale nel quale l’antica ispirazione liberale risultava minoritaria all’Assemblea Costituente mentre si affermavano due nuove visioni di partito politico dominanti ma non coincidenti, perché l’una – nella lettura che essa dava della classe operaia – vedeva nel partito un soggetto sostanzialmente di avanguardia e intellettuale, laddove l’altra – nella lettura che essa dava della politica quale servizio alla comunità cristianamente ispirata – vedeva nel partito politico una sorta di punto di arrivo delle diverse articolazioni della società in corpi intermedi autonomi anche dai partiti politici.
Il lungo periodo che siamo soliti definire della Prima repubblica è stato dunque vissuto nel contesto di questo straordinario compromesso costituzionale, che ha rappresentato in sostanza l’idea stessa di partito, di provvista finanziaria dei partiti, di rapporto tra partiti e Stato. Con la conclusione dell’esperienza storica dell’Urss, e con l’inizio in una fase radicalmente nuova del processo di integrazione europea, si assiste alla conclusione della Prima repubblica, senza che se ne siano mai tratte le conseguenze nascenti proprio da quel compromesso costituzionale originario.
Nel contesto degli anni che vanno dal ’94 a oggi, assistiamo a un rapporto profondamente nuovo proprio tra i nuovi partiti politici da un lato e populismo, qualunquismo, demagogia, antiparlamentarismo e antipartitismo dall’altro. La nuova fase di integrazione europea che ha dato vita al governo Monti si pone pertanto quale spartiacque tra una stagione politico-istituzionale e un’altra.
L’antipolitica della quale si parla oggi deve essere vissuta innanzitutto alla luce di questo straordinariamente nuovo rapporto tra società e popolo: la società italiana sta vivendo in termini radicalmente nuovi il processo di secolarizzazione che altre parti d’Europa hanno conosciuto dall’Illuminismo in poi; la politica nazionale deve sempre più tener conto dell’emergere di una embrionale sovranità europea, con la conseguente drastica riduzione delle diverse sovranità nazionali, all’interno delle quali si era sin qui vissuto il rapporto tra società e popolo.
Allorché si denunciano pertanto i rischi dell’antipolitica attuale per la stessa tenuta della democrazia, occorre saper dar vita a soggetti politici anche radicalmente nuovi rispetto a quelli che hanno caratterizzato la lunga stagione della cosiddetta Prima repubblica e la un po’ meno lunga stagione della altrettanto Seconda repubblica.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 21 aprile 2012