Si è in presenza di una ampia riflessione sulla sostanza stessa dei partiti politici. Vi è (come si è già notato) un gran parlare e proporre in riferimento al finanziamento dei partiti medesimi: pubblico e privato o soltanto privato?; soggetti essenziali per la stessa vita democratica anche del nostro paese o strutture persino esclusivamente elettorali?; soggetti che concorrono al governo delle istituzioni con la indicazione di programmi di azione o anche soggetti che procedono alle nomine non solo degli apparati istituzionali di governo, ma anche nella articolazione degli enti e delle aziende variamente collegati alle istituzioni medesime?.
In tutti questi dibattiti non risulta molto approfondita una questione che sembra invece avere oggi un riferimento molto significativo: il rapporto fra i partiti politici e il governo Monti. La nascita di questo governo ha infatti rappresentato e rappresenta un motivo forte mente differenziato di valutazioni politiche ed istituzionali, sì che i partiti del dopo Monti finiranno necessariamente con l’avere caratteristiche anche strettamente legate ai modi con i quali i partiti esistenti si sono comportati in riferimento allo stesso governo Monti.
Si tratta in sostanza di valutare il significato complessivo dello stesso avvento del governo Monti quale decisione non scaturente da una qualche decisione specifica ed esplicita dei diversi partiti politici presenti o meno che essi siano in parlamento. Si è parlato di una maggioranza “strana” perché il sostegno parlamentare al governo Monti ha in qualche modo saldato il governo stesso alla sostanza politica ed istituzionale del nostro sistema di governo, che rimane parlamentare, non solo per un semplice ossequio formale alla Costituzione. Ma al di là del sostegno parlamentare al governo Monti (che ha visto collocarsi dalla stessa parte partiti politici che si erano invece anche radicalmente contrapposti in quanto tali prima dell’avvento del governo Monti medesimo), si tratta di un avvenimento che mette in gioco già da oggi il significato stesso del partito politico nella fase politica ed istituzionale che si aprirà successivamente al governo Monti medesimo.
Occorre prendere in considerazione il punto essenziale del governo Monti: la coerenza europeistica complessiva rispetto agli stessi orientamenti nazionali che avevano condotto anche l’Italia ad accumulare un debito pubblico non più sostenibile in chiave europea. Appare molto probabile che non si sia tenuto sufficientemente conto delle conseguenze che avrebbe comportato anche per l’Italia l’adesione al trattato di Maastricht. In quel tempo – siamo alla fine del 1991 – non si sono probabilmente valutate le conseguenze anche italiane che comportava l’adesione al principio di un deficit di bilancio non superiore al 3% annuo. Sul finire di quella che è considerata la Prima Repubblica, il contesto europeistico appariva in qualche modo quasi scontato ed in fondo sostanzialmente continuista rispetto alla promozione stessa del processo di integrazione europea, avviato nel corso degli anni cinquanta. Non fu colto, molto probabilmente, il nesso profondo che il processo di integrazione europea aveva finito con il vivere nel contesto dell’esistenza della proposta politica ed istituzionale dell’Unione Sovietica. Anche questa stava terminando il proprio corso come aveva già testimoniato la caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Altrettanto insufficiente è stata la valutazione delle conseguenze che l’introduzione della moneta comune – l’euro – avrebbe dovuto comportare per la stessa composizione del debito pubblico italiano. L’avvento avrebbe infatti dovuto rappresentare una occasione straordinaria perché si comprendesse che il processo di integrazione europea stava sempre più prendendo corpo quale idealità storicamente concreta da vivere in ciascun paese membro della Unione medesima. Occorreva infatti muoversi nel senso della complessiva coerenza europeistica che il processo richiedeva da parte di ciascuno stato nazionale.
Il governo Monti da questo punto di vista rappresenta in qualche modo la presa d’atto persino dolorosa della maturazione del processo di integrazione in atto rispetto al quale i partiti politici italiani devono fare i conti, se intendono in qualche modo dar vita ad una stagione politica successiva al governo Monti medesimo caratterizzata dalla sostanziale continuità delle azioni politiche complessive poste in essere dal governo medesimo. Non si tratta di affermare che qualunque decisione assunta dal governo Monti è parte di un programma politico quale che sia, perché è di tutta evidenza che non siamo di fronte alla necessità di dar vita ad una sorta di partito unico.
Ma non vi è dubbio che se il governo Monti è considerato una pura e semplice parentesi, conclusa la quale si può tranquillamente tornare a quel che esisteva prima, si sarebbe in presenza della sostanziale irrilevanza strategica del governo medesimo, e della sua natura di pura e semplice straordinarietà economico-finanziaria. Qualora invece si ritenga che il governo Monti abbia rappresentato e stia rappresentando una sorta di completamento del processo di costruzione europea in atto, allora tutti i partiti politici dovranno tenere conto di questa straordinaria novità e proporsi di operare all’indomani del governo medesimo, sempre nel segno della coerenza europeistica che ha rappresentato la legittimazione originaria del governo Monti medesimo.
Prima ancora della legittimazione costituzionale interna del governo Monti occorre infatti valutare il rapporto strettissimo che esso ha proprio con il processo di integrazione europea. Si tratta di questioni particolarmente complesse perché occorre risolvere in termini di coerenza europeistica alcune questioni di fondo che hanno sin qui rappresentato anche una sorta di alternativa o al processo di integrazione europea in quanto tale o alle modalità istituzionali, economiche, politiche e sociali con le quali si sta svolgendo il processo di integrazione medesimo.
Mentre le alternative al processo di integrazione sembrano piuttosto un retaggio della vecchia ideologia antieuropeista tipica, anche in Italia, dei decenni caratterizzati soprattutto dalla Unione Sovietica, quelle che si stanno svolgendo – anche se in modo non sempre lineare – all’interno dei diversi stati nazionali, finiranno con il dar vita proprio a soggetti politici tutti europeisti dal punto di vista ideale, ma alternativi gli uni rispetto agli altri proprio per quel che concerne le politiche istituzionali, economiche e sociali proprie di ciascuno stato nazionale.
Partiti nuovi occorrono pertanto, caratterizzati da una sostanziale scelta ideale europeistica e distinti se del caso da politiche istituzionali economiche e sociali, distinte le une dalle altre.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 28 aprile 2012