La vicenda del passaggio da un sistema politico-costituzionale di tipo parlamentare – anche se fortemente caratterizzato dagli attuali poteri del Presidente della Repubblica – a un sistema cosiddetto semipresidenziale alla francese non deve essere valutata esclusivamente alla luce delle specifiche congiunture parlamentari in atto, perché concerne un punto essenziale del contesto politico italiano per quale esso era al tempo della Costituente, e quale esso è oggi nel quadro della integrazione europea. Non si tratta infatti di giudicare in termini del tutto astratti della forma di governo preferibile: parlamentare semplice; parlamentare razionalizzato; semipresidenziale alla francese; presidenziale alla nord-americana; presidenziale alla sudamericana; o altre ancora che l’esperienza costituzionale del mondo ci offre.
Si tratta invece – anche in questo caso – del cercar di comprendere il perché in una data esperienza storica vi sia stata una scelta o un’altra in uno Stato a regime monarchico o in uno Stato a regime repubblicano; in uno Stato dignitosamente definibile come democratico o in uno Stato che prescinde dalle specifiche forme di democrazia ritenute necessarie.
Nel caso italiano occorre infatti aver presente che alla scrittura della Costituzione si giunse anche sulla base del risultato del referendum istituzionale nel quale gli italiani erano stati chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica.
In quella circostanza si era in particolare al termine di una guerra mondiale perduta dall’Italia a conclusione di una esperienza di governo, che – come tutti sappiamo – era stata quella fascista di Mussolini. In quel contesto risultava di tutta evidenza che l’unità nazionale doveva essere quindi costruita non più sulla base dello scontro tra laici e cattolici – che aveva caratterizzato l’origine del Regno d’Italia – né sulla base della contrapposizione tra fascisti e antifascisti, che aveva caratterizzato il Ventennio mussoliniano. L’unità nazionale finì pertanto con l’essere rappresentata proprio dalla Costituzione repubblicana, sul cui testo complessivo finirono con il convergere non soltanto i due partiti maggiori, ma anche altri partiti che diedero vita a una larghissima maggioranza dell’Assemblea medesima.
In quel contesto la forma di governo prescelta fu pertanto costruita tutta dentro un quadro di unità nazionale ricercato non tanto su questa o quella istituzione di governo in quanto tale considerata, ma sull’insieme delle istituzioni che concorrevano a determinare la politica nazionale, come si esprime in particolare l’articolo 49 della Costituzione in riferimento ai partiti politici.
Il sistema parlamentare vigente sulla base della Costituzione originaria comprende, pertanto, sia il principio democratico della volontà popolare filtrata dai partiti politici in parlamento, sia le istituzioni di garanzia costituzionale e di controllo dell’esercizio del potere stesso di governo, sia la definizione di una specifica funzione istituzionale anche del tutto nuova, quale è quella rappresentata dal Presidente della Repubblica.
L’unità nazionale, pertanto, finisce con l’essere vissuta complessivamente da un sistema costituzionale che è contemporaneamente orientato alla legittimazione dei poteri di governo sulla base del consenso parlamentare, (del quale il rapporto di fiducia tra parlamento e governo rappresenta ad un tempo legittimazione e limite), e sulla predisposizione di molteplici e significativi poteri di controllo, dei quali è sostanzialmente garante supremo un Presidente della Repubblica distinto dal Governo della Repubblica. Non si tratta pertanto di un sistema parlamentare per così dire ottocentesco, non solo perché si passa dalla Monarchia alla Repubblica, ma soprattutto perché esso trova una fonte di legittimazione nuova nei partiti che determinano la politica nazionale.
Il mutamento del sistema di governo da parlamentare razionalizzato, quale è il sistema italiano, a sistema cosiddetto semipresidenziale alla francese deve pertanto fare i conti proprio con il significato della unità nazionale, che è radicalmente diverso in Italia e Francia.Tutti sappiamo infatti che proprio la Francia è caratterizzata da un forassimo sentimento di identità nazionale basata sulla amministrazione pubblica – che di quella unità costituisce il fondamento – anche a prescindere dalla forma di stato monarchica o repubblicana, e dal sistema di governo parlamentare o semipresidenziale.
Il contesto italiano è stato invece caratterizzato dallo scontro fra laici e cattolici al momento stesso della unità nazionale monarchica, ed è divenuto repubblicano solo al termine della lunga esperienza fascista e della significativa sconfitta militare al termine della seconda guerra mondiale.
Da quel momento a oggi l’unità nazionale mentre non è stata certamente più posta in discussione in riferimento allo scontro tra laici e cattolici, lo è stata in riferimento al rapporto tra Nord e Sud, come le indicazioni anche costituzionali della Lega hanno dimostrato nel corso degli ultimi venti anni. Non si tratta dunque di una questione puramente teorica, perché la scelta tra il modello parlamentare vigente (che può essere ulteriormente modificato), e il cosiddetto modello semipresidenziale francese è sostanzialmente una scelta sull’unità nazionale.
Mai come in questa fase, l’unità nazionale deve essere vissuta nel contesto del processo di integrazione europea, proprio perché esso tende alla costruzione di una nuova statualità europea, da edificare senza che vengano meno le originarie unità nazionali dei singoli Stati europei. Opera certamente lunga e difficile ma mai come oggi necessaria.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 09 giugno 2012