Discorso di Lorenzo Cesa all’Assemblea ‘Più Nord’

Care amiche, cari amici,

ringrazio e saluto ognuno di voi per aver accolto il nostro invito a questo incontro con i quadri dirigenti del partito e gli amministratori del Nord Italia. Nei prossimi giorni abbiamo in programma incontri analoghi anche al Centro e al Sud perché riteniamo utile e necessario coinvolgere nelle riflessioni e nei discorsi che stiamo facendo tutto il partito, ad ogni livello.

Vi dico subito che oggi non ho intenzione di parlarvi di sondaggi. Nè voglio parlarvi delle ultime elezioni amministrative in Sardegna dove siamo andati benissimo. E non voglio parlarvi nemmeno delle amministrative di un mese fa, dove l’Udc è stato tra i pochissimi a mantenere i suoi voti in una situazione generale molto difficile, con il vento forte dell’antipolitica che ha messo a terra molti partiti sia dell’attuale maggioranza che di opposizione. E’ inutile in questo momento tornare anche sul fatto che avremmo voluto intercettare più voti dei delusi degli altri partiti. Sono tutte cose che sappiamo già.

Oggi voglio parlarvi solo della situazione politica in cui si trova l’Italia. Capire bene questo passaggio così delicato è fondamentale per non perdere la bussola e non smarrirci in tante inutili chiacchiere.

Allora dobbiamo partire da un dato di fatto che vorrei fosse chiaro almeno tra di noi una volta per tutte. La stagione che ha avuto come protagonista unico e indiscusso Berlusconi, la stagione che ha diviso il Paese in berlusconiani e antiberlusconiani, si è compiuta e chi pensa che possa ricominciare tranquillamente come se in questi mesi non fosse accaduto nulla si sbaglia. E guardate, lo dico con rispetto per chi comunque è stato protagonista assoluto di una lunga stagione. Ma quel tempo politico appartiene ormai al passato. Non ha senso continuare a parlarne. Il quadro politico di un anno fa, cinque anni fa, dieci anni fa, non c’è più. Il mondo è cambiato radicalmente. Siamo entrati in un quadro totalmente diverso, in cui tutto quello che succede in Grecia, piuttosto che in Francia o in Germania, ha delle conseguenze immediate anche su di noi e non c’è più posto per chi pensa di poter fare da solo o di poter contare solo sull’immagine. L’Europa e il mondo si aspettano sostanza, fatti, vera integrazione e sarà sempre più così. E anche se Berlusconi alla fine volesse puntare sull’antipolitica, c’è già chi lo fa meglio di lui. Comunque tocca a lui decidere che ruolo vorrà avere nel suo partito e cosa fare del Pdl, così come tocca ai politologi discutere quanto il berlusconismo è ancora presente nella società italiana. Quello che possiamo fare è soltanto augurarci che alla fine la responsabilità prevalga sulla voglia di rituffarsi nel populismo. Non so quanto a lungo i moderati del Pdl potrebbero reggere una deriva populista. Ma intanto noi dobbiamo guardare avanti.

Naturalmente ci sono delle ragioni per cui tutto questo è avvenuto. Non è successo a caso, e sono le ragioni che abbiamo sostenuto noi negli ultimi anni. Avevamo ragione quattro anni fa quando dicevamo che il bipolarismo dei litigi e delle coalizioni condizionate dai partiti più estremi non funzionava, non produceva nulla, non consentiva al Paese di crescere, di riformarsi e che sarebbe finito male. Se l’Italia è arrivata a un passo dal default sei mesi fa è per questo e sarebbe bene non dimenticarlo mai. Così come noi tutti dobbiamo essere orgogliosi delle scelte compiute quattro anni fa, quando abbiamo rischiato consapevolmente la sopravvivenza del partito pur di chiamarci fuori, per primi e da soli all’inizio, con l’obiettivo di indicare un’alternativa a quel bipolarismo.

Avevamo ragione e la realtà dei fatti, purtroppo per il Paese, si è incaricata di darci ragione nel modo più doloroso possibile. Oggi quel bipolarismo non c’è più: il Pd e il Pdl sostengono con noi il Governo Monti, i loro vecchi alleati, la Lega e l’Idv sono all’opposizione, le vecchie coalizioni sono sepolte. Al loro posto, come da tempo auspicavamo, c’è un governo di larghe intese, tecnico, sostenuto da una maggioranza molto ampia in Parlamento.

Un Esecutivo che per evitare il crollo  è costretto a somministrare a tutta Italia cure e medicine molto amare e anche in tempi molto stretti. Per anni abbiamo spiegato che si stava nascondendo agli italiani la verità. E ora la verità ci è arrivata addosso con tutta la sua forza.

Noi abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere fino alla scadenza naturale della legislatura questo governo con piena lealtà e convinzione, anche sapendo che si può pagare un prezzo in termini di popolarità per questo.

In pochi mesi il governo ha avuto la forza e il coraggio, anche grazie al nostro deciso sostegno, di portare in Parlamento il decreto Salva-Italia, la riforma delle pensioni, le misure anti evasione, le liberalizzazioni, le semplificazioni, la riforma del lavoro, il disegno di legge anticorruzione. Molte di queste riforme sono già state approvate o sono in via di approvazione e altre sono in arrivo, come il decreto sviluppo, la spending review per aggredire gli sprechi della pubblica amministrazione e la dismissione dei beni pubblici per ridurre finalmente il debito pubblico che oggi è secondo solo a quello della Grecia.

Sono tutte medicine amare, come dicevo poco fa. Ma quando ci si becca una brutta malattia non si va in vacanza oppure non ci si cura facendo finta di niente.

La malattia è la mancanza di crescita e ne soffriamo ormai da dieci anni, perché da dieci anni il sistema Paese si è inceppato. E gli effetti sono una disoccupazione all’11%, con punte spaventose al Sud e tra i giovani, milioni di famiglie che non ce la fanno più, un drammatico impoverimento del ceto medio.

Ma ormai anche il Nord sta conoscendo in pieno la crisi. Credo che ognuno di voi lo possa testimoniare, ognuno di voi incrocia quasi ogni giorno imprenditori costretti a chiudere per mancanza di ossigeno dalle banche piuttosto che per i ritardi della pubblica amministrazione nei pagamenti. Ognuno di voi vede ogni giorno la zona più produttiva del Paese andare in affanno, soffrire la concorrenza non solo dei Paesi emergenti, ma anche di quelli europei. Dove l’energia costa il 30% in meno, dove i servizi funzionano meglio, dove il fisco è altrettanto implacabile con gli evasori ma chiede anche meno a chi le tasse le paga da sempre.

Da una malattia così lunga e seria non si guarisce dopo sei mesi. Specie in un quadro internazionale che non solo non ci aiuta, ma attraverso la speculazione prende di mira proprio i Paesi più cagionevoli di salute.

Chi a destra, come a sinistra, ogni tanto si fa prendere dalla tentazione della demagogia e del populismo deve tenerlo bene a mente. Non c’è un’alternativa a questo governo. L’alternativa è il disastro.

Anche perché, parliamoci chiaro, chiunque venisse dopo Monti non potrebbe fare altro di diverso rispetto a quello che sta facendo Monti. Qui si tratta di continuare a fare i compiti a casa, quelle riforme che non abbiamo saputo e voluto fare negli ultimi dieci anni, anche se, accanto alla cura dell’austerità ora dobbiamo rafforzare, come è stato fatto ieri, quella per la crescita. 80 miliardi a disposizione , tante importanti novità in grado di far ripartire l’Italia. Dopo il necessario rigore, una svolta coraggiosa da parte del governo per rilanciare e rinnovare questo Paese.

E dovremmo dimostrare almeno in Parlamento di essere capaci di riformare la legge elettorale, restituendo ai cittadini vera centralità nella scelta di chi mandare in Parlamento.

Su questo, voglio dirlo con chiarezza, non c’è altro tempo da perdere! La nostra idea è chiara e netta: il cittadino deve scegliersi direttamente il proprio parlamentare. E per farlo il meccanismo è uno e uno solo: il ripristino delle preferenze! Noi non ci fermeremo! Proseguiremo in maniera incessante questa battaglia in Parlamento e nelle piazze italiane.

Di presidenzialismo o semipresidenzialismo possiamo discutere, non abbiamo pregiudiziali, tutto quello che può essere utile ad ammodernare le istituzioni non ci spaventa. Purché si avvii, però, una discussione seria, tra persone consapevoli che una scelta di quel tipo richiederebbe una profonda revisione dell’impianto costituzionale e quindi un dibattito ampio e approfondito dentro e fuori dal Parlamento. Se il presidenzialismo è un escamotage per non fare niente, o se è uno slogan di parte pronto all’uso per le elezioni, allora non siamo interessati. Anche perché noi sì, siamo consapevoli che l’unica cosa che non possiamo fare è presentarci davanti agli elettori a mani vuote, senza nemmeno la riforma del sistema di voto.

Mi auguro davvero che di questo se ne rendano conto tutte le forze politiche. O non dovranno stupirsi se il vento dell’antipolitica li abbatterà, ci abbatterà ancora più duramente.

Allo stesso modo per la politica italiana si tratta poi di avere l’autorevolezza necessaria in Europa per convincere gli altri Paesi dell’Unione ad accelerare finalmente sull’Unione politica. Come ha detto chiaramente l’altro giorno alla Camera Pier Ferdinando finora, nell’affrontare le varie crisi, dalla Spagna alla Grecia, le istituzioni europee sono andate avanti mettendo rattoppi tardivi e incompleti. All’Europa serve invece un vestito nuovo per affrontare i grandi cambiamenti economici che stanno spostando gli equilibri del mondo: il vestito dell’Europa federale, dell’unione politica. Tutti i Paesi europei, presi singolarmente, stanno scivolando indietro nelle classifiche mondiali perché altre economie stanno emergendo a ritmi molto superiori. Da soli non riusciremo a reggere la competizione. Ma se mettiamo in campo la forza di un Continente intero, finalmente omogeneo, compatto, possiamo di nuovo essere un grande motore di crescita.

Monti ha l’autorevolezza e gode del rispetto internazionale necessari per poter rappresentare al meglio queste esigenze, che non sono solo italiane. E non mi pare che chi lo attacca, nell’opposizione come nella maggioranza, possa indicare qualcuno più autorevole al suo posto. A meno che non si voglia proporre la strada della demagogia e del populismo: dell’uscita dell’Italia dall’euro. Ma quello, voglio dirlo chiaramente, sarebbe un caso da psichiatria, una roba che non c’entra niente con la politica.

Se questa è la situazione, qual è il nostro compito? Il nostro compito principale è allargare il campo, dare un contributo importante per costruire un perimetro più ampio in cui possano ritrovarsi insieme tutti coloro che hanno capito che queste idee, queste scelte non valgono solo per l’oggi ma dovranno essere portate avanti anche domani, anche dopo le elezioni del 2013.

Dobbiamo metterci tutti a disposizione. Con generosità e senza avanzare primogeniture. Per costruire un soggetto politico più forte e più ampio che raccolga contributi esterni importanti: da esponenti di rilievo del governo attuale, dalla società civile, dal volontariato, dall’Università, dal mondo del lavoro e dell’imprenditoria.

L’Udc non smobilita, se qualcuno ha inteso questo ha frainteso. Noi siamo in campo e vogliamo esserci come il seme di un germoglio di qualcosa di nuovo e più grande che vogliamo far nascere e crescere insieme a molti altri.

Questo è il lavoro che ci attende: a livello nazionale, come a livello locale. Con molti di voi i contatti sono frequenti. Ecco, quello che vorrei chiedervi da oggi per i mesi a venire, è di discutere con voi, quando ci sentiremo e quando ci incontreremo nelle prossime settimane, molto meno di faccende e problemi interni e molto più di idee e persone nuove. Persone esterne al partito che state incontrando e che sono pronte ad impegnarsi per costruire il soggetto politico che serve all’Italia. Del resto è anche questa la ragione per cui siamo qui oggi: per discutere di questioni concrete, dei problemi di quest’area, per ascoltare le persone e per cercare soluzioni insieme. Stare vicino alla gente è nel nostro dna, nel dna del popolarismo e dovrà esserlo anche in quello del nuovo soggetto politico.

Un altro tema di cui non vorrei veramente più sentire parlare è quello delle alleanze. Questa delle alleanze sta diventando una discussione insopportabile, credetemi. Oggi più che mai, di fronte a una situazione così in movimento, quello delle alleanze è un falso problema, una discussione vuota che non serve a niente. Quello che conta sono le idee che un partito ha di sé, del Paese, della politica, dell’economia, della società. E la nostra idea peraltro rende ancora più inutile la questione delle alleanze: perché, come oggi, siamo convinti che anche in futuro, anche dopo il 2013, moderati e progressisti debbano lavorare insieme per affrontare problemi enormi e tanto complessi che richiederanno risposte unitarie per molto tempo ancora. Per cui non stiamo tanto a preoccuparci del campo degli altri. Per ora occupiamoci del nostro, quello dei moderati. Attrezziamo al meglio la nostra area, lavoriamo per modernizzarla e cambiarla insieme a tanti altri che hanno lo stesso obiettivo. A sinistra del resto mi sembra che nel Pd ci sia ormai ampia consapevolezza che la foto di Vasto non può essere una soluzione praticabile per il futuro. E in ogni caso spetta a loro risolvere questi interrogativi. Mentre a destra vediamo un grande fermento ma per il momento non è che si capisca granché a cosa porterà. Per cui lasciamo che i processi che non ci riguardano si svolgano nei tempi e nei modi che occorrono. E rimaniamo concentrati sul nostro fronte.

Un ultimo pensiero prima di concludere vorrei dedicarlo alle popolazioni terremotate che stanno vivendo momenti così dolorosi e difficili a poche decine di chilometri in linea d’aria da qui. Il terremoto ha portato lutti e tragedie ed ha colpito e inceppato uno dei motori più importanti dell’economia del Nord. Tutta l’Italia pagherà le conseguenze per questa ennesima batosta ad un sistema economico già in grave difficoltà. Ma sappiamo anche che gli emiliani hanno addosso una voglia di ricominciare, di ripartire, di riscatto che sarà d’esempio per tutti. Anche per questo, oltre alla grande solidarietà che ci unisce a loro, dobbiamo stargli vicini e non farli mai sentire soli, in concreto.

Se sapremo farlo, sono certo che ancora una volta l’Italia saprà rialzare la testa e ci riuscirà anche seguendo il loro esempio.    Grazie.

Discorso Cesa Sirmione.pdf








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