Il discorso del segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa

Care amiche, cari amici, saluto e ringrazio davvero ognuno di voi per aver accolto il nostro invito. Vorrei cominciare subito questo nostro incontro con una dimostrazione di solidarietà da parte di tutti noi ad una persona che ha fatto e sta facendo tantissimo per questo nostro Paese: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In questi giorni sta subendo attacchi indecenti, vergognosi. Una campagna diffamatoria basata su tesi allucinanti e su gravissime illazioni che respingiamo con tutta la nostra forza e il nostro sdegno. A quei partiti che la assecondano per raccogliere qualche titolo sui giornali dico semplicemente: vergogna! Non è così che ci si candida a guidare l’Italia. Non si guida un Paese gettando acido sulle sue istituzioni. Noi difendiamo e difenderemo sempre le istituzioni di questo Stato, a maggior ragione quando sono rappresentate da una personalità straordinaria, da una guida per il Paese di altissimo rigore morale come il nostro Capo dello Stato. Cari amici, stiamo girando l’Italia e continueremo a farlo anche nei prossimi giorni e nelle prossime settimane per riflettere tutti insieme, gruppo dirigente nazionale e gruppi dirigenti locali, con i nostri sindaci, i consiglieri comunali, provinciali e regionali, sul presente e sul futuro prossimo del partito. Siamo ormai alla vigilia di scadenze importantissime. In autunno – mancano davvero poche settimane ormai – suonerà l’ultimo appello per tutti i moderati italiani, laici e cattolici, per unirsi finalmente intorno ad un unico, nuovo grande soggetto politico. Stavolta più che mai non ci sono alternative o scorciatoie per nessuno. Se il Paese non vuole finire nel baratro, dopo il governo Monti, – fra pochi mesi, nella primavera del 2013 quando si andrà a votare – dovrà affidarsi necessariamente alle forze più affidabili e responsabili agli occhi dell’Europa e del mondo. Quelle in grado di garantire una continuità con le politiche di verità e serietà adottate dall’Italia in questi mesi dall’attuale governo. Allo stesso modo i moderati dovranno farsi trovare pronti, uniti e con un progetto di rinnovamento dell’Italia e dell’Europa convincente e credibile. Questa volta è davvero la storia che chiama ad un appuntamento decisivo il nostro Paese e i moderati. Se questo incontro ci sarà, nelle urne, l’Italia avrà ancora un futuro importante davanti a sé. Se mancheremo l’appuntamento, temo purtroppo che il declino diventerà sempre più rapido e doloroso. La sfida che abbiamo davanti è questa. E’ una sfida enorme e dobbiamo esserne tutti consapevoli. Ecco perché sono importanti incontri come quello di oggi tra di noi. Sabato scorso abbiamo discusso e dialogato per un giorno intero a Sirmione gli amici del Nord. Ci siamo confrontati in modo franco con i nostri dirigenti e amministratori locali. Ci sono state anche critiche come è normale che sia in un qualsiasi partito che ritiene il confronto con la base un passaggio essenziale per la sua crescita. Quello che mi è parso importante però è stato registrare sempre e in ogni caso critiche costruttive, una maturità ed una responsabilità tra tutti che ci fa ben sperare per il futuro. Sono certo che sarà cosi anche oggi e la settimana prossima con gli amici del sud Italia. Come ho già detto a Sirmione, non voglio annoiarvi con sondaggi o con altre analisi del voto amministrativo. Sapete tutti meglio di me che l’Udc a differenza di quasi tutti gli altri partiti presenti in Parlamento non ha perso voti. Sapete che in varie realtà, come in Sardegna dove si è votato solo pochi giorni fa, il partito è andato benissimo. Al tempo stesso però non possiamo dirci soddisfatti perché non siamo riusciti ad intercettare molti voti in uscita dagli altri partiti. Preferisco dedicare qualche attenzione in più al presente e al futuro. Sette mesi fa la politica italiana era terrorizzata dal rischio del default e per questo aveva scelto di unirsi responsabilmente dietro la figura di un nuovo presidente del Consiglio capace di far recuperare al nostro Paese in breve tempo una credibilità e un prestigio internazionale che da troppo tempo avevamo smarrito. In questi sette mesi si sono fatte molte più riforme che negli ultimi quindici anni in cui l’Italia è stata spaccata in due e paralizzata dal bipolarismo. E’ stato approvato il decreto Salva Italia, la riforma delle pensioni, le misure antievasione, le liberalizzazioni, le semplificazioni, il decreto sviluppo. Sono in via di approvazione la riforma del lavoro, il disegno di legge anticorruzione. E’ in arrivo la spending review, per aggredire gli sprechi della pubblica amministrazione e la dismissione dei beni pubblici per ridurre un debito pubblico. Su ognuno di questi provvedimenti non c’è stato solo il nostro voto in Parlamento. Abbiamo dato un contributo importante al governo per renderli più efficaci e, laddove possibile, meno dolorosi per i cittadini. Su questo bisogna essere molto chiari: siamo un Paese che per quindici anni ha cancellato dal vocabolario la parola sacrifici. Abbiamo fatto finta per anni che andasse sempre tutto bene. Abbiamo assistito a continui cambi di governi e maggioranze senza mai fare un tagliando, una manutenzione ordinaria e straordinaria alla macchina “Italia”. Abbiamo pensato che i problemi riguardassero sempre gli altri e mai noi. Siamo rimasti fermi, mentre il mondo diventava più grande e si allargava dalla Cina e al Brasile, mentre noi diventavamo più piccoli. E ora la storia ci sta presentando il conto. Se non capiamo questo non abbiamo capito niente. L’Italia e l’Europa non sono davanti a una crisi passeggera, non si tratta di uno scherzo. Per superare questa crisi ci vuole tempo, molto più dei sette mesi passati, molto più degli otto o nove che ci separano dalle prossime elezioni. Servirà anche, almeno, tutta la prossima legislatura. Così come avevamo ragione quattro anni fa quando per primi dicevamo che il bipolarismo degli estremi era un danno, avremo ragione nell’analisi della crisi anche per gli anni a venire. O l’Italia continua a fare i compiti a casa, continua nella sua opera riformatrice per mettere sotto controllo i conti pubblici e per azionare le leve della crescita anche a costo di nuovi sacrifici, o non ce la faremo. E così anche in Europa: o l’Italia si presenta unita, solida e credibile, capace di imprimere un’accelerazione al processo di integrazione politica dell’Europa, o saremo travolti. Vie di mezzo non ci sono. E invece che sta succedendo? Succede che molti si sono già abituati all’emergenza e non ci fanno più caso. L’emergenza non è finita: la Grecia non è al sicuro, la Spagna nemmeno e nemmeno l’Italia purtroppo. Ma tanti, troppi, pensano già ad altro, alla campagna elettorale, alle alleanze future, come se i problemi del Paese già non li riguardassero più. Succede che mentre il Governo, l’Europa e i mercati ci chiedono di approvare prima possibile la riforma del lavoro, nel Pd e nel Pdl si gioca a rinviare tutto. Io non sono in grado di prevedere quanti posti di lavoro creerà la riforma: ma sono sicuro che il 36% di giovani disoccupati in continuo aumento non diminuirà se non facciamo niente. E chi nel Pd minaccia di non votare la riforma se prima non si trova una soluzione per gli esodati dimostra di non aver capito che mischiare le cose per non fare niente vuol dire solo fare il male del Paese: anche noi lavoriamo e lavoreremo per trovare una soluzione al problema degli esodati, ma non possiamo scherzare col fuoco. Fra pochi giorni c’è un appuntamento internazionale decisivo e l’Italia è uno dei Paesi più sotto osservazione. A quell’appuntamento il nostro governo dovrà arrivare anche con la riforma del mercato del lavoro approvata. Non siamo in condizione di poterci permettere di lasciare indietro niente. Succede che il Pdl in preda a una crisi interna che è sotto gli occhi di tutti. Allora, per non scontentare nessuno di giorno vota i provvedimenti del Governo e di sera li disconosce e gioca a smontarli. Ora, io non sono titolato a spiegare perché stanno perdendo voti: può darsi anche che come dicono molti di loro, il loro elettorato non approvi l’appoggio al governo Monti. Ma almeno il dubbio che questa incoerenza continua tra le cose che si dicono e le cose che si fanno disorienti quell’elettorato non gli viene mai? E guardate: oggi non avrei voluto nemmeno nominare Berlusconi perché appunto vorrei solo guardare a casa nostra e al futuro dell’Italia. Ma se Berlusconi ha intenzione di puntare la sua campagna elettorale sull’uscita dell’Italia dall’euro allora sappia che non solo non c’è nessuna possibilità di dialogo ma che non ci sarà giorno in cui non ricorderemo agli italiani in quale disastro si caccerebbero se si tornasse alla lira! Peraltro vorrei far notare che anche i greci, messi di fronte a una scelta drammatica, hanno scelto l’euro e non certo la dracma. Per cui non mi pare che questa idea di tornare alla lira abbia grandi speranze di successo tra gli elettori italiani. Comunque se davvero il Pdl vuole autodistruggersi alla fine è un problema suo. Immagino solo che i moderati di quel partito faranno molta fatica a rimanerci. E come ha giustamente osservato Pier Ferdinando, il disagio sarà molto forte anche nel Partito Popolare Europeo. Non c’è posto nel Ppe per partiti anti-europei. Allora qui dobbiamo prima di tutto sapere cosa serve al Paese e cosa intendiamo proporre noi al Paese. Non è una questione di alleanze, quello anzi è un tema che proprio non ci interessa. Se il Pd decide di andare a Vasto noi non possiamo certo seguirlo. Se il Pdl vuole lanciarsi in un burrone per uscire dall’euro e magari per allearsi di nuovo con la Lega sempre più barricadera noi non possiamo certo seguirlo. Noi dobbiamo continuare a indicare un’altra strada: tenere insieme il Paese e cercare di guidarlo nel difficile percorso di ritorno alla crescita economica interna e di creazione dell’unione politica dell’Europa. Non esiste un’alternativa: Grillo e i suoi proclami antipolitici parlano di uscita dall’euro. Vedete come l’antipolitica alla fine sia senza ricette credibili e anzi riduca tutti a dire le stesse cose? Se punta sull’antipolitica Berlusconi sarà costretto ad appiattirsi su Grillo. Non mi sembra un bell’epilogo per chi ancora pochi mesi fa si paragonava a De Gasperi. La Lega poi quali ricette ha? Bruciare gli F24, invocare la rivolta fiscale? Per fare cosa? Per far crollare la nostra economia al livello di quella della Tanzania? E Di Pietro che vuole? Ormai superato da urlatori con più voce di lui, per dimostrare che esiste è costretto ogni giorno ad alzare il tiro e attaccare il governo e il Quirinale. Questo è il quadro che abbiamo di fronte e capite bene che di fronte a questo quadro non ha proprio senso metterci a discutere di alleanze. Semmai ha senso incalzare tutti sulle riforme istituzionali. Chiedere che si faccia una buona volta per tutte una riforma elettorale che ridia ai cittadini il diritto sacrosanto di scegliersi gli eletti in Parlamento. Vogliamo le preferenze e ci batteremo con forza per averle! Se gli altri partiti non le vogliono, abbiano il coraggio di dirlo ai cittadini italiani! Come si può pensare che da qui alla fine della legislatura partiti che non sono riusciti ad approvare una sola riforma istituzionale seria in quindici anni possano mettersi d’accordo ed approvarne qualcuna di epocale, che dovrebbe ridisegnare mezza Costituzione? Cerchiamo di esser seri: serve almeno la riforma della legge elettorale. Bastano pochi giorni per approvarla. Approviamola o gli italiani la metteranno sul conto di chi li ha presi in giro. E dobbiamo continuare a discutere dei problemi del Paese e di cosa intendiamo fare noi per risolverli. Dobbiamo continuare a sostenere il governo, l’unico interlocutore possibile e credibile per gli altri Paesi europei. Se qualcuno pensa di farlo cadere subito dopo il Consiglio europeo del 28 giugno è soltanto un irresponsabile e facendo crollare il Paese sappia che ne pagherebbe tutte le conseguenze. Dobbiamo soprattutto creare le condizioni perché questa politica di serietà possa essere proseguita anche nella prossima legislatura. Io non so cosa deciderà di fare il presidente del Consiglio Monti fra otto mesi. Quello che so è che non esiste alternativa a proseguire la sua politica. E noi a questo dobbiamo attrezzarci. Come? Stando in campo per contribuire insieme a tutti coloro che saranno interessati alla nascita di un nuovo soggetto moderato più grande, più ampio. Questo è il ruolo essenziale dell’Udc. Non siamo un partito in liquidazione, siamo e saremo uno dei motori di rinnovamento della politica italiana. Una politica seria, non urlata, che preferisce unire anziché dividere. Una politica fermamente convinta che avere dei valori sia un vantaggio e non un peso. Una politica che sa dialogare e mettere a confronto i suoi valori con quelli degli altri. E che riesce a dar vita ad un nuovo partito in cui valori diversi ma condivisi camminano insieme per far correre di nuovo l’Italia. E’ un progetto che intendiamo costruire insieme al mondo dell’associazionismo e del volontariato laico e cattolico, alla società civile, agli imprenditori, agli artigiani, ai commercianti. Non chiediamo primogeniture, diamo una mano e vogliamo darla insieme ad altre. Il lavoro che ci attende è questo. A Roma come in tutta Italia. Insieme, ognuno nella propria realtà, dobbiamo creare una rete nuova di relazioni e contatti per farci trovare pronti ai prossimi appuntamenti. Il 29 giugno incontreremo a Napoli i nostri rappresentanti nelle regioni del Sud. A luglio, poi, vogliamo dare una forte accelerazione al nostro progetto, lavorando assieme a tutte le persone di buonsenso che condividono con noi la necessità di preparare il rinnovamento del Paese alle prossime elezioni. E subito dopo l’estate dovremo concludere questo percorso e trasformarlo al tempo stesso in un nuovo inizio. Un nuovo inizio non solo per noi. Ma prima e soprattutto per l’Italia. Grazie.










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