Le lunghe e spesso contorte discussioni su una nuova e forse “mitica” legge elettorale politica nazionale si stanno svolgendo passando di volta in volta da un modello astrattamente straniero all’altro, e sembra che fino ad ora non si sia trovata una soluzione per così dire “definitiva”. Vi è stato infatti in particolare chi ha anche formalmente subordinato la legge elettorale all’assetto istituzionale nuovo che la Repubblica italiana dovrebbe finire con l’avere, sia che esso si svolga in senso neoparlamentare, sia che esso si svolga in senso di cosiddetto semipresidenzialismo francese. Non è ancora chiaro in qual modo si uscirà da questa situazione sostanzialmente paralizzante, soprattutto in riferimento al condizionamento che il sistema istituzionale dovrebbe finire con l’avere anche per la definizione di una nuova legge elettorale politica nazionale.
È di tutta evidenza infatti che altro è parlare di legge elettorale in costanza di bicameralismo per così dire perfetto; altro è parlare di essa in un contesto di monocameralismo politico in quanto l’altra camera – probabilmente il Senato – diventi una camera federale e/o una camera delle autonomie. Ed è del pari di tutta evidenza che altro sarebbe definire una legge elettorale che fosse coerente con un sistema neoparlamentare; altro sarebbe definire una legge elettorale che pretenda di essere coerente con una scelta presidenzialistica o anche semipresidenzialistica del governo nazionale. Ma le ripetute affermazioni di insopportabilità popolare di una qualunque riproposizione del sistema elettorale vigente, il “porcellum”, fanno ritenere che si finirà con il definire una legge elettorale nazionale lasciando sostanzialmente invariato l’assetto costituzionale vigente per quel che concerne la forma di stato – unitaria o federale – e la forma di governo – parlamentare o presidenziale. Nonostante questa sostanziale scissione tra sistema costituzionale e legge elettorale nazionale, appare comunque possibile giungere a una definizione accettabile di una nuova legge elettorale nazionale, purché si tratti di una legge capace di tenere insieme l’istituto della identità e l’istituto del governo.
L’identità infatti ha costituito per tutto il tempo della cosiddetta “Prima Repubblica”, il fondamento stesso del sistema proporzionale, perché questo sistema tende notoriamente a ritenere che le identità costituiscano le basi stesse tra le quali i cittadini-elettori finiscono con il decidere, e quindi con l’identificarsi in una o in un’altra di esse. Persino l’identità qualunquistica era rimasta sostanzialmente “proporzionale”. Occorre pertanto che il principio identitario sia rilevabile nel contesto di una nuova legge elettorale a base proporzionale. Tutela della identità di ciascun partito e sistema proporzionale elettorale costituiscono la traccia profonda di un sistema proporzionale, quale che sia la soluzione tecnicamente prescelta. È in questo contesto che la storia italiana antica e recente induce a tutelare l’identità sia in riferimento al rapporto tra laici e cattolici; sia in riferimento al rapporto tra nord e sud; sia in riferimento al rapporto tra destra e sinistra.
Oggi appare sempre più determinante il contesto europeistico nel quale l’Italia è collocata anche se sembra scoprirlo soltanto oggi. Questi infatti sono i tratti di identità fondamentali che invocano un sistema proporzionale per consentire la formazione di un governo nazionale. Le identità infatti possono essere certamente parziali o localistiche, ed in quanto tali costituiscono la base stessa di un sistema elettorale proporzionale.
Tutta la Prima Repubblica è stata costruita sulla base del sistema elettorale proporzionale, come frequentemente si afferma, talvolta ignorando le ragioni della stretta connessione esistente tra l’una e l’altro. Ma la Costituzione italiana – che pur aveva scelto un sistema parlamentare di governo – non aveva fatto della identità anche l’istituto unico sul quale fondare la cultura di governo. Basti infatti considerare che nella Costituzione italiana la funzione di governo non è mai ridotta alla sola identità, come dimostra l’intreccio complicatissimo tra Camera e Senato nella formulazione costituzionale originaria, e tra Governo e Presidente della Repubblica per quel che concerne la potestà stessa di governo complessivo del Paese.
Tutta la Seconda Repubblica ha invece finito con il vedere prevalere il governo rispetto all’identità, quanto meno nel senso che vi è stata una ripetuta accentuazione dell’affermazione della legittimazione popolare del governo del Paese, quasi che si fosse entrati in una sorta di nuova costituzione. Ma è proprio sulla formazione di una maggioranza di governo che il principio identitario finisce con il costituire una parte – essenziale sì, ma pur sempre una parte – di un nuovo sistema elettorale: nuovo rispetto alla Prima Repubblica; nuovo rispetto alle affermazioni ripetute nel corso della Seconda Repubblica; nuovo infine quale equilibrio diverso sia dall’una che dall’altra. Questo nuovo equilibrio è opportuno pertanto che sia basato su un metodo proporzionale elettorale quale metodo essenziale per la tutela della identità di ciascun partito, e allo stesso tempo sulla capacità di dar vita ad una alleanza di governo che si svolge necessariamente sulla base delle identità ma pur sempre alla ricerca della convergenza programmatica delle diverse identità in vista appunto della formazione di un governo ma non di una integralità di governo rispetto a ciascuna identità.
Una nuova legge elettorale nazionale se finirà dunque con il prescindere dalla sua complementarità rispetto al sistema costituzionale, finirà con l’assumere sostanzialmente anche natura costituzionale sostitutiva proprio della mancata riforma costituzionale formale. Il nuovo equilibrio tra identità e governo finirà pertanto con l’essere a sua volta capace di andare al di là del “porcellum”, non solo per ragioni per così dire “demagogiche”, ma anche per ragioni culturali, strutturali e politiche.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 7 luglio 2012