L’imminenza della definizione delle regole ritenute necessarie perché si possa dare vita alle cosiddette «primarie di coalizione» promosse dal Pd (una decisione è prevista già oggi), sta facendo emergere ancora una volta – e stavolta in modo particolarmente significativo – la questione delle primarie di partito e/o di coalizione per la scelta del candidato o dei candidati alla guida di un partito e/o di una coalizione.
Si assiste infatti da un lato ad una sorta di esaltazione del modello delle primarie quale strumento sostanzialmente connaturato alla democrazia, sì che si finisce quasi con il dire che i partiti che non sperimentano le primarie non sono partiti democratici. Si assiste del pari da altro lato ad una sorta di rigetto delle primarie da parte di chi vede in esse soprattutto nell’attuale fase politica una sorta di finzione, più che di effettiva realtà di scelta.
Ancora una volta è pertanto necessario porre in risalto il fatto che ci si debba collocare di fronte all’istituto delle primarie in modo per così dire “laico”: esse possono essere il bene o il male per la democrazia e per le istituzioni rappresentative a seconda del sistema istituzionale e politico nel quale esse si collocano. Il fatto che in Italia manchi radicalmente una qualunque disciplina organica dei partiti politici rende a sua volta ancora molto sommario il discorso sulle primarie. Per tutto il tempo che siamo soliti definire della “Prima Repubblica”, l’attività politica è stata considerata in qualche modo un continuum che impegnava l’intera vita produttiva delle persone. I “politici” svolgevano infatti una sorta di professione in senso stretto e di conseguenza passavano dalla candidatura ad un ente locale, a quella regionale, a quella nazionale e a quella europea quasi che si trattasse di tappe temporalmente successive di una unica attività politica che finiva pertanto col diventare una sorta di vera e propria carriera. Si è infatti richiamato più volte proprio il fondamentale contributo di Max Weber sul punto della politica quale professione.
In questo contesto non vi era un vero e proprio spazio per le primarie, perché la selezione dei diversi candidati avveniva – come in tutte le carriere professionali – per anzianità e per merito, non certo per età o per livello istituzionale di volta in volta considerato. La logica della carriera finiva pertanto col rendere le primarie assolutamente estranee all’idea stessa di selezione delle candidature. Nella cosiddetta “Prima Repubblica”, i partiti politici non erano peraltro identici tra di loro, come si può rilevare sulla base di una qualunque seria analisi della storia politica di quei lunghi anni.
Sta comunque di fatto che l’idea di carriera aveva finito col diventare sostanzialmente comune a tutti i partiti politici, quale che fosse l’ispirazione ideale di ciascuno di essi, o anche il diverso insediamento sociale che ciascuno di essi riteneva di rappresentare.
Con l’avvento della cosiddetta “Seconda Repubblica” abbiamo assistito a una sorta di compresenza di logica di carriera politica e di logica di leadership carismatica dei partiti politici medesimi. Né la logica della politica quale carriera, né il modello carismatico dell’attività politica medesima potevano peraltro essere compatibili con l’istituto delle primarie. Man mano che i più antichi partiti finivano con il tentare di passare dalla logica della carriera all’obiettivo dell’impegno politico, e che i più nuovi partiti tentavano di passare dall’ipotesi carismatica a quella partitica di programma, le primarie hanno cominciato a fare capolino fino a diventare in qualche modo l’emblema stesso della novità.
Occorre inoltre riuscire a distinguere seriamente l’una istituzione dall’altra, per valutare in quale misura le caratteristiche necessarie per lo svolgimento delle diverse attività istituzionali richiedano o consentano le primarie. Queste infatti sono naturalmente legate ad una scelta di persone in funzione delle istituzioni che si intende ricoprire. Il più lungo e maturo esempio statunitense ci mostra infatti che le primarie sono molto diverse a seconda che si tratti di scegliere il candidato alla Presidenza degli Stati Uniti o i candidati ad elezioni nazionali per la Camera dei rappresentanti e per il Senato, o i candidati ad elezioni locali, comunali o statali che sia. La situazione italiana vede oggi le primarie utilizzate quasi quale modo di scelta tra vere e proprie alternative politiche, come nel caso del passaggio dal Pd dalla tradizione della sinistra alla cultura della coalizione di centro sinistra, o, come nel caso del Pdl, tra l’esperienza di una leadership carismatica e la scelta di una cultura popolare di base.
Natura dei partiti politici ed attenta valutazione del sistema istituzionale vigente in ciascun paese rende pertanto il tema delle primarie ancora oggi più la prova di un tentativo di passaggio da un vecchio ad un nuovo equilibrio politico-istituzionale che non un fatto di pura e semplice modalità di selezione di questo o quel candidato.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal di sabato 06 Ottobre 2012