Signor Presidente, ho seguito con molta attenzione i due relatori e li ringrazio non soltanto per le relazioni e le riflessioni che ci hanno consegnato quest’oggi, ma anche per il lavoro che hanno svolto, non soltanto in sede di Commissioni riunite, ma anche in una fase preliminare, di commento e di narrazione, rispetto ai temi, ai problemi e ai nodi che questo provvedimento presentava e presenta.
Volevo fare, proprio ascoltando i colleghi e poi lasciando anche agli amici e colleghi del mio gruppo gli ulteriori approfondimenti, una riflessione di fondo, chiedendo ovviamente il conforto di chi mi ascolta in questo particolare momento.
Questo provvedimento sembrava che dovesse nascere semplicemente per affrontare una situazione contingente, con non troppa ambizione per alcuni, ma anche per corrispondere ad una vicenda certamente poco chiara e poco esaltante che ha coinvolto alcune regioni.
Il tema predominante era quello delle spese della politica. In un clima di antipolitica generalizzato, certamente è un dato che è stato tenuto presente da parte del Parlamento e delle forze politiche. Però, leggendo, valutando ed esaminando il provvedimento, non c’è dubbio che io lo ritengo un po’ discostante rispetto a un dato che poteva sembrare scontato e marginale. A seconda di come la si vede, signor Presidente, un provvedimento di questo genere può essere un adempimento dovuto per dare delle soluzioni e per intervenire sui costi della politica (articolo 2) o può essere una forte riflessione sulla natura e sull’identità di questo nostro Paese, dove le varie vicende e le varie storie che lo riguardano (il suo assetto, la forma di Governo, la forma di Stato e le autonomie) devono ancora essere risolte.
Io vedo questo provvedimento come una continuità o, meglio ancora, un tentativo di dare delle risposte, sia pure limitate, alla problematica delle regioni e alla loro autonomia. Quante volte abbiamo discusso in questo Parlamento se dovevamo andare verso una federazione o una confederazione? Si può parlare di federazione e di confederazione – lo si sa – in varie accezioni. Ci sono vari significati. Nel nostro Paese per un certo linguaggio, per una certa filosofia o per una certa scuola di pensiero la federazione ha un significato e per altre scuole di pensiero altri.
Il nostro gruppo parlamentare in questo Parlamento è quello che ha detto «no» al federalismo fiscale. Avevamo chiesto anche una riflessione in più. Avevamo detto di «no» al federalismo fiscale perché capivamo e comprendevamo – ma credo anche gli altri gruppi – che si sarebbe andati verso un assetto e una definizione diversi del nostro Paese che si discostava grandemente dalle premesse culturali e dai principi che questo Paese si era dato e dai valori su cui si fonda anche il dettato costituzionale. Il «no» era motivato.
Oggi, quando parliamo di controlli da parte della Corte dei conti, leggendo il primo testo, la prima stesura – hanno detto bene sia i relatori, sia i colleghi che mi hanno preceduto, perché l’articolo 1 è stato riscritto completamente e l’articolo 2 è stato revisionato in gran parte -, quando parliamo ovviamente di questi aspetti e di questo dato, soprattutto dei controlli, qualcuno mi dice che siamo passati da un eccesso ad un altro. Nell’esaltazione delle autonomie locali, ma soprattutto dell’autonomia regionale, abbiamo rimosso i controlli. Abbiamo rimosso i controlli delle regioni, abbiamo rimosso i controlli delle province e abbiamo rimosso i controlli dei comuni. In altre parole, c’è una concezione dell’autonomia, e quindi della responsabilità, che viene ad essere, secondo alcuni, esaltata e affermata se non ci sono controlli.
Ma poi c’è un dato, che voglio anche evidenziare in questo particolare momento, ossia che all’articolo 117 della Costituzione abbiamo creato una condizione di surplus di materie e di competenze delle regioni. Certamente queste competenze per materia non hanno determinato una situazione facile relativamente alla gestione delle materie e delle competenze che le leggi e soprattutto il dettato costituzionale attribuiscono loro.
Ma c’è un altro aspetto, a mio avviso. Ci può essere autonomia e ci può essere competenza senza controllo? Credo che questo sia il dato: non ci può essere una competenza gestita nella responsabilità se non c’è un controllo.
Poi bisogna vedere come si esercitano i controlli e certamente io non mi rifaccio a quelli che furono i controlli dopo l’istituzione delle regioni. Ricordo il commissario di Governo e, dopo la fase del GPA, dopo gli anni Ottanta, i Coreco e quant’altro: una situazione di controlli, alcuni dei quali erano di legittimità, non c’è dubbio, rispetto agli obiettivi e ai traguardi che le amministrazioni sia regionali, sia locali, intendevano raggiungere.
Ma c’è un altro aspetto importante. Signor Presidente, abbiamo celebrato ieri, in tutta Italia, il 4 novembre. È la giornata dell’unità d’Italia e, allora, questo fa venire in mente, fa inserire anche nei nostri pensieri, nella dialettica e nel confronto, tutta una problematica delle materie per quanto riguarda certamente la vita e l’attività delle regioni. Quante volte ci siamo chiesti e ci siamo posti alcune questioni: la pubblica istruzione può essere una materia semplicemente posta in capo alle regioni per avere venti diverse politiche della formazione e dell’istruzione, che è il corpo fondante, è l’elemento fondante della specificità, dell’identità e dell’unità del Paese? Accanto all’istruzione ci sono anche altri problemi, certamente la materia sociale e quella della sanità.
Ritengo che siano aspetti che devono essere trattati partendo proprio da questo provvedimento d’urgenza, che qualche collega criticava ovviamente nella forma con cui nasce, ossia come decreto-legge. Ritengo che questo provvedimento apra e debba aprire alcuni temi, alcuni argomenti, altrimenti, certo, il discorso dei controlli, sul quale oggi interviene la Corte dei conti, è un argomento sul quale ci siamo confrontati. Abbiamo detto «no» ai controlli preventivi, perché anche noi avevamo ravvisato qualche profilo di incostituzionalità sul controllo preventivo da parte della Corte dei conti. Il controllo della Corte dei conti è su altro, è una parentesi. In questo Paese, anche nel dibattito, la discussione è proseguita molte volte in termini non lineari.
Non parlo dei tagli lineari, ma dei ragionamenti lineari. Ricorderanno i colleghi che ci fu un momento nel quale si parlava della inutilità, della soppressione e del superamento della Corte dei conti. Se ne è parlato e qualcuno aveva caldeggiato e coltivato questo obiettivo e questo aspetto.
Ritengo che oggi, certo, il dato della Corte dei conti è importante ed è fondamentale rispetto ai limiti che il lavoro parlamentare ha costituito, costruito e garantito e che siano limiti e controlli più cogenti. C’è un problema che ho sollevato: ma la Corte dei conti ha l’organico idoneo per svolgere tutto questo lavoro e queste competenze che, quando il decreto-legge verrà convertito, dovrà assolvere? Ritengo che questo sia un interrogativo che da porsi. Ci sono stati ovviamente degli atti e dei documenti, c’è stata una audizione del presidente della Corte dei conti Giampaolino che ci ha consegnato alcune sue valutazioni, alcuni dati e chiarito alcuni aspetti. Ci sono altri documenti, invece, dell’associazione nazionale dei magistrati della Corte dei conti che fanno altre valutazioni.
Questo è un problema, tanto è vero che noi abbiamo posto qualche difficoltà quando qualcuno – qualcuno ancora ne parla – ha proposto che anche su tutta la materia degli organici della Corte dei conti ci sia invarianza della spesa. Abbiamo spostato alcuni termini sia per il rispetto che si deve ad un organo di rilevanza costituzionale come la Corte dei conti e anche perché non possiamo prefigurare dei limiti, ma soprattutto un condizionamento all’agibilità nell’autonomia e nella responsabilità della Corte dei conti. Questo è un lavoro che abbiamo fatto e che hanno fatto la I e la V Commissione.
Vi è stata anche la soppressione dell’articolo 7, nel quale ovviamente si prefigurava un certo tipo di organizzazione e il legislatore interveniva con legge ordinaria sull’organizzazione della Corte dei conti, su aspetti e su dati che attengono a regolamenti e ad atti interni della Corte stessa. Questo dato e questo aspetto sono stati ovviamente superati grazie al senso di responsabilità e all’impegno sia dei relatori – lo debbo dire con estrema chiarezza – sia di tutti i colleghi.
Se ci sono queste questioni che riguardano ovviamente le autonomie e il controllo delle regioni, se noi finissimo a limitare il nostro ragionamento all’oggi, certamente andremmo a commentare tutti gli articoli che sono contenuti in questo provvedimento e avremmo finito. Ma dobbiamo anche capire che cosa si farà in prospettiva. Ritengo che questo sia l’inizio di un ragionamento, perché si è dato spazio ad una valutazione e ad visione un po’ parziale dell’attività della regione anche dal punto di vista dell’attività economica. Quante volte noi abbiamo parlato in quest’Aula di deficit, di esposizione, di debito pubblico, di difficoltà economiche del Paese, senza tenere conto della gestione delle regioni. Per lungo tempo si è evitato di fare riferimento all’attività delle regioni. Ci sono stati qualche pudore e qualche riservatezza in più, visto e considerato, però, che le regioni hanno delle competenze importanti e fondamentali. Voglio fare riferimento alla sanità. Si andava avanti con valutazioni certamente importanti e fondamentali, senza grandi riferimenti all’attività anche delle regioni.
Quando si interviene anche sui costi della politica, discorsi importanti e che io accetto, sia per quanto riguarda i vitalizi, sia per quanto riguarda la riduzione delle risorse dei gruppi, si mette un po’ d’ordine in una vicenda che è apparsa anche in questi giorni molto confusa, tanto per usare un eufemismo; ma questo non è sufficiente per risolvere i problemi a monte, relativi alle competenze e alle attività delle regioni.
Da tutto questo, signor Presidente, emerge anche un altro argomento, quello dell’Europa. Ci dobbiamo porre il problema dell’Europa, lo dico ai colleghi, nel momento in cui parliamo di controllo; nelle autonomie regionali non ci possono essere – come non ci può essere per materia – venti politiche dell’istruzione e della formazione, venti politiche sociali e così via. Nell’Europa non ci possono essere diversificazioni rispetto alle competenze di autonomie regionali che esistono in altri Paesi. Io ritengo che se dobbiamo fare uno sforzo e avere una visione di insieme, dobbiamo guardare anche a questi aspetti e a questi dati che ritengo importanti e fondamentali. Si tratta di un aspetto che certamente non è insignificante, se il processo di integrazione in Europa non è asimmetrico ma si armonizza ed è coordinato e raccordato, non c’è dubbio che dobbiamo sempre più tener presente questa problematica con i problemi ed i temi che ci sono e che riguardano anche lo Stato rispetto all’Europa, e l’esigenza di cedere parte della sua sovranità, dove ovviamente le competenze esclusive dello Stato nelle materie tradizionali – la sicurezza, la difesa, l’economia, la politica estera – certamente vanno ad essere comprese in una prospettiva ed in una proiezione, come un dato di riferimento per una politica di integrazione europea che dia senso e dignità alla concezione europeistica che noi abbiamo.
Questi sono agli aspetti ed i dati che riguardano questo provvedimento che verrà ad essere approvato – non so se il Governo porrà la fiducia sulla base di un maxiemendamento che terrà presente, me lo auguro, gran parte del lavoro egregio ed encomiabile che hanno svolto le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) – ma io ritengo che questo aspetto e questo dato aprano anche ad altri tipi di problemi e di temi; in base agli interventi che ho ascoltato, quando qualcuno diceva che in questo momento certamente le regioni non sono un Parlamento, ebbene certamente le regioni non sono il Parlamento, pur avendo una potestà; le regioni non esprimono un governo, esprimono un esecutivo, ma oggi nell’accezione comune si parla di governi regionali e di governatori, e questo dato l’abbiamo fatto passare, ma poi attraverso una serie di altri provvedimenti abbiamo trasformato le leggi delle regioni, dapprima con l’elezione diretta del presidente. Ricordate la prima elezione diretta del presidente che dava ad esso la possibilità, per i primi due anni, di non cambiare maggioranza? Poi invece l’abbiamo estesa a tutti e cinque gli anni, e poi abbiamo introdotto il principio del simul stabunt simul cadent, con un affievolimento del ruolo del consiglio regionale. Sempre questa è la mia preoccupazione, questo affievolimento e questa marginalità degli organi deliberanti sia dei comuni, sia delle province, sia delle regioni; e quando qualcuno ha voluto introdurre, anche nei lavori delle Commissioni, la sfiducia costruttiva per garantire in quel momento anche la continuità e la sopravvivenza di tale ente, c’è stata una mezza rivolta nel nome dell’autonomia. Un’autonomia senza controllo e senza responsabilità, al di fuori certamente di una cultura, che pure si è affermata nel nostro Paese, che si discostava comunque anche da quelle tipologie di elezione che, al confronto con il Parlamento, appaiono differenti in maniere sempre più profonde e marcate. Credo che siano questi i temi e gli argomenti che dobbiamo tenere certamente presenti anche per quanto riguarda il futuro, nella prossima legislatura.
Noi inseguiamo da molto tempo, attraverso Commissioni bicamerali e di merito, un’era costituente, non dico una fase costituente, ma un’era ed una legislatura costituenti. Oggi ritengo che sia il momento di considerare e di recuperare tutto questo – visto che abbiamo ritrovato l’esigenza del controllo e della responsabilità – ma anche di rivedere le materie di competenza delle regioni. Lo ripeto per la terza volta: non è possibile mantenere nella competenza legislativa esclusiva la sanità, l’istruzione, il sociale e, per alcuni versi, anche l’ambiente; non è possibile parlare di regionalismo senza avere questo riferimento all’accostamento e soprattutto all’armonizzazione, che io ritengo un’esigenza fondamentale, con le altre autonomie regionali. Lo Stato deve riappropriarsi della sua forza e della sua dignità rispetto alla continuità ed alla forza delle realtà locali che bisogna garantire.
L’ultimo aspetto, signor Presidente, riguarda i segretari comunali. Anche a tal proposito – leggevo da qualche parte e lo condivido – c’è stato un momento in cui abbiamo considerato gli enti locali come delle società e si è affermato un certo linguaggio: avevamo bisogno non di bravi funzionari e di bravi dirigenti, ma di manager, tanto è vero che poi anche nei Ministeri ci siamo adattati su una situazione parastatunitense – ma gli Stati Uniti hanno una diversa storia, con lo spoil system – e abbiamo, di fatto, rimosso ogni certezza. Infatti, con lo spoil system, nei Ministeri abbiamo mortificato i dirigenti di carriera – non c’è dubbio – e i direttori generali nominati sono direttori generali, ma – molte volte – sono più vicini all’entourage gestionale e collaborativo del Ministro. Il dato che viene fuori è il ruolo e la riscoperta dei segretari comunali e, anche nei comuni, vi è stato un momento in cui si è esaltata la figura del city manager e del direttore generale, perciò non si capiva qual’era il ruolo del direttore generale e quello del segretario comunale. Non si è mai ovviamente evidenziato con molta forza – e soprattutto con evidenza – il ruolo di un responsabile degli uffici, che non può che essere il segretario comunale. Questo viene ad essere riproposto e recuperato da questo provvedimento, visto e considerato che con le trasformazioni che ci sono state anche nel passato, i segretari comunali scelti dal sindaco erano diventati, più che altro, segretari particolari del sindaco, ed i comuni venivano ad essere affidati ai consulenti o ai direttori generali. Non c’è dubbio che anche questo significa certezza. Il segretario comunale è un notaio, certamente il capo degli uffici, è apicale : il controllo va fatto certamente dal segretario comunale ed i rilievi del controllo non devono essere mandati ai capi dipartimento dei comuni per poi tornare al segretario comunale. O il capo del vertice comunale ha una potestà direzionale nella direzione del comune, oppure questa figura viene ad essere un po’ condizionata ed offuscata.
Ritengo che questo provvedimento faccia giustizia di alcune incertezze del passato, ma questo concetto deve essere – a mio avviso – illustrato e soprattutto affermato con grande forza. Qualcuno diceva anche che i segretari comunali sono dipendenti del Ministero dell’interno. Questo non è dato da capire: i segretari comunali hanno avuto sempre una posizione ibrida, erano funzionalmente dipendenti dal Ministero dell’interno, tant’è vero che i trasferimenti, le revoche e le nomine le faceva il prefetto. Poi c’è stato l’albo, dal quale sceglieva il sindaco. I segretari comunali non si sa cosa sono.
Se posso in questo momento, in sede di discussione sulle linee generali, approcciare e tentare una proposta, non vi è dubbio che dovremmo prevedere, per i segretari comunali, un ruolo, che sia ovviamente sotto il controllo del Ministero dell’interno. Dovrebbe valere la situazione precedente, ma con una maggiore definizione dei contorni, dei limiti e, soprattutto, delle competenze. Ritengo che questo sia un aspetto importante che non può essere sottovalutato.
Signor Presidente, ho voluto, in termini confusi, porre alcune questioni che più volte abbiamo richiamato anche nel corso dei nostri lavori. Questa è l’occasione, certamente, per esaltare il regionalismo, perché se vi è qualcuno – e su questo riprendo anche un concetto che avevo un po’ esternato poc’anzi – che pensa che i controlli possano mortificare l’autonomia regionale, questo certamente non è nel vero nella proiezione, a meno che non chiariamo – questo è un altro aspetto che voglio ancora un po’ affermare e sottolineare – che noi non abbiamo un’altra e diversa visione dello stato del nostro Paese. Questo fa capire certamente che non si può legiferare sull’onda delle emozioni o sulle contingenze. Questo è un tema – e un problema – molto grosso, di grande portata, che riguarda gli equilibri futuri del nostro Paese, anche nel concerto e, soprattutto, nella realtà più ampia che è quella europea.
Questo credo che sia il significato – e il dato – che viene fuori dicendo di sì a tante situazioni, che sono state anche sottolineate, e rispetto alle modifiche che sono state apportate dalle Commissioni. Faccio riferimento a una di esse: la revoca degli incarichi alle organizzazioni per la riscossione dei tributi, che può essere data anche dai comuni. Questo credo che sia anche un fatto importante per evitare dei condizionamenti dall’alto, delle ipoteche, che ci sono state. Ritengo opportuno che le autonomie locali vivano pienamente in un clima diverso e senza avere coercizioni di nessun genere e senza subire nessun tipo di ricatto. Ritengo che la sempre maggiore affermazione delle autonomie sia il sale della democrazia.
Poi, ci troviamo in presenza, signor Presidente, dell’ultimo provvedimento, quello che riguarda l’accorpamento delle province. Questa può essere certamente un’altra storia, ma è una storia che rientra anch’essa in questa problematica delle autonomie locali e regionali. Ritengo – e vado a conclusione -, riaffermando questo concetto iniziale, che non vi possa essere autonomia senza, controllo. Non vi può essere autonomia, rispetto alle competenze che sono anche proliferate nel tempo, se non vi è un controllo forte e cogente, visto e considerato, per esempio, che i revisori dei conti, di cui poi sono stati dotati i comuni, erano soltanto una piccola farsa, perché si trattava di organismi interni che venivano fuori attraverso le mediazioni politiche, e che dovevano controllare le amministrazioni locali. Sono anche d’accordo, su quella che è stata un’iniziativa assunta dalle Commissioni I e V, sulla figura del revisore dei conti che doveva svolgere funzioni di presidente, nominato dal prefetto. Questi sono dati che certamente vengono ad essere importanti; ma vi è il dato più significativo che è quello proprio dell’istituto della revisione dei conti.
Signor Presidente, ritengo che questo provvedimento, per le cose che abbiamo detto, e che ho tentato di dire, sia importante non per la materia che tratta attualmente, ma per una serie di problemi che apre, per i temi che affronta. Se chiudessimo con l’articolo 1, con l’articolo 2 e con gli altri provvedimenti – la Corte dei conti, il controllo e, abbiamo detto, il costo della politica e altri provvedimenti che sono poi contenuti nei successivi articoli – sarebbe stato certamente un buon lavoro, da parte del Governo e da parte di tutti noi, ma non sarebbe stato esaustivo. Se, invece, prendiamo questo provvedimento come una serie di problemi e di temi che vengono consegnati al futuro legislatore e al Paese intero, ritengo che questo sia un provvedimento importante e, oserei dire, per alcuni versi storico, che può rappresentare la linea di demarcazione rispetto a una diversa concezione, che non è una concezione nuova, ma la più realistica e la più vera, che fa parte del bagaglio della storia della e cultura