Assemblea Nazionale Udc, l’intervento del Segretario nazionale Lorenzo Cesa

Care amiche, cari amici,
l’incontro di oggi rappresenta una tappa molto importante di un percorso di riorganizzazione della nostra attività e presenza politica a tutti i livelli, sul piano nazionale e sui territori.
Come sapete, negli ultimi mesi questo percorso è iniziato con due consigli nazionali nei quali abbiamo analizzato e discusso il risultato elettorale molto negativo di febbraio, ed è proseguito nelle ultime settimane con otto incontri interregionali al nord, al centro e al sud che sono serviti ad ascoltare tutti e a riannodare le nostre fila e a preparare l’assemblea nazionale di oggi e i prossimi appuntamenti di settembre fino al congresso.
Sul passato, desidero essere molto netto su questo, non voglio parlare ancora a lungo. Chi pensa di poter vivere di nostalgia, o intende tenere sempre la testa rivolta all’indietro, è destinato a non fare molti passi in avanti.
E’ chiaro che le cose non sono andate come volevamo e che sono stati commessi degli errori. Abbiamo fatto una scelta di coerenza e non siamo stati premiati. Noi volevamo chiudere la stagione del bipolarismo che ha portato il Paese nelle condizioni drammatiche di declino in cui si trova oggi.
Per questo siamo andati alle urne da soli alle elezioni del 2008. Per questo abbiamo lavorato negli anni successivi nel tentativo di aggregare intorno all’Udc un’area più ampia di consensi, di intelligenze, di competenze, per arrivare a formulare una proposta alternativa di governo a quella di un Pd che vedevamo con il fiato sempre più corto e a quella di un Pdl che ancora tra ottobre e novembre sembrava sul punto di sciogliersi.
Alla festa di Chianciano, a settembre dell’anno scorso, quel lavoro sui mondi esterni al nostro partito e alla politica era davvero ad un passo dal concretizzarsi. Poi l’accelerazione improvvisa decretata dalla crisi del governo tecnico ha cambiato completamente il quadro ed il Paese è precipitato verso le elezioni anticipate.
Erano anni che dicevamo che l’Italia avrebbe avuto bisogno di una fase di larghe intese. E quella fase era ed è arrivata. E’ arrivato il governo Monti ed ora c’è il governo Letta. Dicevamo la verità, perché avevamo capito che stavamo imboccando una strada obbligata. Ma la verità non ci ha portato i consensi che speravamo. Questo però non vuol dire che non si debba avere il coraggio di dire la verità, anche quando non paga.
Quando Papa Francesco parla di “martirio quotidiano di chi compie il proprio dovere”, o quando ci ricorda che preoccupanti sono “soprattutto i fenomeni quali l’indebolimento della famiglia e dei legami sociali, la decrescita demografica, la prevalenza di logiche che privilegiano il profitto rispetto al lavoro, l’insufficiente attenzione alle generazioni più giovani e alla loro formazione”, ci ricorda proprio questo. Che non sempre si fa qualcosa per ottenere altro in cambio. Ma che a volte bisogna anche fare qualcosa semplicemente perché è giusto farla. Anche se in cambio nell’immediato non si ottiene nulla.
Quando nel 2011 abbiamo dato un contributo decisivo per far nascere il governo Monti, l’abbiamo fatto perché l’Italia stava per cadere in ginocchio come la Grecia. Un anno e mezzo dopo, i tre principali partiti che lo sostenevano, il Pdl, il Pd e l’Udc, hanno perso 11 milioni di voti. Le medicine pesantissime somministrate da quel governo hanno quasi ammazzato l’ammalato e gli elettori hanno presentato il conto a quei partiti. Però il Paese non è fallito, non è andato in default. E questo risultato vale più del destino di qualunque partito.
La crisi però non è finita. Lo spread ha smesso di crescere, i tassi di interesse sul nostro debito pubblico sono rientrati a livelli normali, e questo ci ha consentito di continuare a pagare stipendi e pensioni.
Ma l’economia non è ripartita come avremmo voluto. Anzi la disoccupazione continua a mordere, le aziende sono strangolate dalla mancanza di credito e dal crollo dei consumi. Soprattutto i nostri giovani che non trovano lavoro non vedono la luce in fondo al tunnel.
Ecco perché siamo arrivati ad un nuovo governo di larghe intese anche dopo il voto. Solo una maggioranza ampia può approvare le riforme che non si sono fatte nei venti anni precedenti. Solo un impegno comune, fra forze responsabili, frutto di un governo stabile, può convincere gli altri Paesi che siedono con noi in Europa, gli investitori esteri, i mercati finanziari, che comunque ce la faremo. Questa è la ragione per cui sosteniamo il governo Letta. L’unico governo possibile come ci ha ricordato ancora l’altro ieri il presidente Napolitano. Un governo in cui Gianpiero D’Alia, con impegno e serietà, e con l’orgoglio – voglio sottolinearlo, di chi non rinnega la sua storia democristiana – sta facendo davvero molto bene. E con lui sta facendo molto bene anche il sottosegretario Gianluca Galletti.
Ora però non passa giorno che questo governo non debba difendersi da qualche attacco. E gli attacchi non sono quelli dell’opposizione. Magari lo fossero, perché di un’opposizione seria e competente il Paese avrebbe bisogno. Mentre purtroppo ci ritroviamo un’opposizione che io chiamo “invisibile”. Un’opposizione che qualunque governo da qualsiasi parte del mondo vorrebbe avere, come quella del Movimento 5 Stelle. Inesistente. O, peggio ancora, ci ritroviamo con un’opposizione di cui vergognarsi, come quella della Lega, che per avere qualche titolo sui giornali ricorre a insulti razzisti.
Gli attacchi che giornalmente minacciano di far cadere il governo, ne rallentano la marcia, e allontanano sempre di più i cittadini dalla politica, non sono quelli di queste opposizioni, ma sono quelli che arrivano dall’interno stesso dei partiti che compongono la maggioranza. E’ l’opposizione da quinta colonna di quel bipolarismo che ha fatto tanti disastri negli ultimi venti anni e che finora è stato chiamato “muscolare” ma che io chiamerei “cannibale”, perché dopo aver quasi divorato il Paese ora punta a mangiare se stesso. Vedete, fino a qualche tempo fa, la politica italiana ha esplorato in lungo e in largo la botanica: querce, ulivi, edere, rose, garofani. Adesso è il tempo degli animali, in particolare dei volatili. Falchi, colombe, piccioni.
Ma quando volano i falchi, penso ad esempio ai falchi del Pdl, io vedo volare in realtà degli avvoltoi. Populisti che per guadagnare un po’ di visibilità sono pronti a passare sul cadavere del Paese. Così come quando sento Renzi dall’altra parte ricordare ogni giorno che lui è amico di Letta mi viene un brivido lungo la schiena. Va bene che in politica l’amicizia ha un valore relativo, ma se potessi dare al presidente del Consiglio, gli darei un consiglio affettuoso appunto: “D’ora in poi, caro Enrico, cerca di essere un po’ più selettivo con i tuoi amici”. Per non parlare poi dell’effetto “balcanizzazione” che sta svuotando di qualsiasi significato il Pd dall’interno. Il Pd diviso in sette correnti tutte e sette in lotta fra loro, riesce a sostenere ormai ogni giorno tutte le posizioni. Basta leggere un giornale qualsiasi per vedere che il Pd è diventato il partito dell’ubiquità in politica: è pro e contro l’aumento dell’Iva, un po’ sta con la riduzione delle tasse e un po’ sta contro, è pro e contro il giustizialismo, pro e contro le primarie aperte, pro e contro Letta e il governo.
E naturalmente non sarebbe nemmeno onesto sottrarsi rispetto ai problemi che riguardano anche la nostra area. Non voglio fare polemiche ma sarebbe ipocrita nasconderli. E’ importante che le diverse anime che compongono Scelta Civica arrivino a una sintesi e che si definisca al più presto una linea politica. In ogni caso noi le idee le abbiamo chiare. Fra meno di un anno ci sono le elezioni europee. Saranno le elezioni europee più importanti da quando esiste l’Unione. Elezioni che forse per la prima volta incideranno in modo subito tangibile sulla vita dei nostri concittadini. Perché le dimensioni globali dei problemi ci ricordano ogni giorno di più che gran parte delle soluzioni a questi problemi si possono trovare solo su una scala più ampia di quella nazionale. E noi sulla nostra collocazione non abbiamo nemmeno un briciolo di incertezza. Per storia, valori, convinzioni, progetto, non possiamo che stare nel Partito Popolare Europeo. E questo, mi sembra evidente, richiede scelte coerenti anche sul piano della politica nazionale.
Spesso mi sento dire che occorre collocarsi, fare delle scelte. Ma vorrei sottolineare che stare nel Ppe è una scelta. Significa essere alternativi al Partito Socialista Europeo, alternativi ai partiti di sinistra e anche ai liberali conservatori. Ma stare nel Ppe vuol dire anche essere contro il populismo e a favore di una politica fatta di serietà, ancorata a valori, praticata nell’interesse generale e non guardando all’interesse particolare. Oggi l’intero quadro politico italiano si sta scomponendo e dovrà quindi essere ricomposto.
L’area dei moderati, riformatrice, popolare, in particolare come sempre sarà il vero fulcro di questo cambiamento. Il Pdl non a caso vuole liberarsi dei falchi, dei populisti, delle sue ali più estreme. Si tratta di un processo che noi invocavamo da anni, perché sono stati i populisti in questi anni a impedirci di approvare le riforme, di modernizzare l’Italia e l’hanno invece ingessata in uno scontro permanente tra fazioni nemiche. E’ un processo che arriva in ritardo rispetto ai tempi che avremmo voluto ma che, comunque, è assolutamente necessario portare a compimento. Il nostro Paese aveva bisogno ieri ed ha bisogno oggi di un Ppe italiano che metta insieme finalmente i moderati per dare forza alla loro voce. E noi vogliamo essere una struttura portante di questo nuovo soggetto. Vogliamo dare vita ad una Costituente Popolare che parli al Paese e crei le condizioni per un rilancio strutturale dell’Italia attraverso le riforme ed il solido ancoraggio all’Europa.
E allora se tutti i moderati, di qualunque provenienza, sono disponibili a fare i passi necessari, le condizioni per costruire finalmente il Ppe in Italia ci sono. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Anche perché – pure su questo voglio essere molto chiaro – l’alternativa è chiudere tutto e spegnere la luce. Ma chiudere tutto significherebbe cancellare definitivamente l’ultima voce figlia della cultura democratico cristiana che ha fatto grande questo Paese dalla fine della Seconda guerra mondiale. E’ una responsabilità che io non vorrei e non voglio assumermi. Non sono nostalgico. E non penso alla riedizione dell’Udc come era. Ma penso che l’Udc possa essere un traghetto utile a raggiungere l’isola del Ppe. Per riuscirci però c’è bisogno davvero di un contributo da parte di tutti. E mi rivolgo in primo luogo a voi, ai nostri dirigenti, a tutti i nostri quadri sul territorio, ai nostri amministratori, sindaci, consiglieri comunali, provinciali, regionali. Serve un impegno corale per cominciare a tessere questa tela e dobbiamo farlo in tempi molto rapidi perché le Europee sono alle porte. Il 13, 14 e 15 settembre ci ritroveremo a Chianciano per discutere le vicende interne e per dialogare con nuovi interlocutori esterni.
Io ho già ribadito molte volte che sono pronto a fare un passo indietro per dare spazio ad un rinnovamento. Ma questo implica che ognuno di voi sia pronto a fare un passo in avanti, a dare il massimo per dare concretezza a questo processo costituente che ci porti oltre l’Udc e oltre la crisi. E per riuscirci il Paese ha assoluta necessità di un nuovo partito moderato, un partito serio, autorevole, popolare in Italia e ascoltato in Europa. Un partito moderno, riformatore, con le idee chiare perché fondato su valori chiari e condivisi.
Non abbiamo la pretesa di poterlo costruire da soli. Siamo sufficientemente umili da saperlo. Abbiamo però la presunzione di poter dire che questo partito senza di noi, senza ognuno di voi, non andrebbe da nessuna parte. E’ arrivato il momento di farlo perché l’Italia ne ha assoluto bisogno. Costruiamolo presto dunque. E costruiamolo tutti insieme. Non da soli, ma tutti insieme. Per riuscirci occorrono generosità, determinazione, orgoglio e carità. Quella carità che nel suo significato più alto è amore e spirito di servizio. Grazie.










Lascia un commento