L’intervista a Ferdinando Adornato pubblicata su “Avvenire”

«Meno male che Giorgio c’è», è il commento sintetico di Ferdinando Adornato alla lunga nota che Napolitano ha dispensato alla vigilia di Ferragosto. Un pressante promemoria che il deputato dell’Udc, e presidente della Fondazione Liberal, esamina da tutti gli angoli visuali, quello del Pdl, quello del Pd e quello di una forza come la sua, profetica sull’esito politico dei governi di responsabilità nazionale e della crisi del «bipolarismo muscolare», ma penalizzata dal voto. 

Meno male che Giorgio c’è, lei dice. Come valuta questo intervento del capo dello Stato?

Nel più positivo dei modi, anche se purtroppo si registra già il solito giochino di leggerne solo una parte, cercando di portare acqua ognuno al proprio mulino. Gli interventi di Napolitano vanno invece letti sempre, e questo più che mai, nella loro interezza, se non si vuole aggirarne lo spirito facendo finta di volerlo seguire.

E quale è lo spirito di quest’ultimo intervento nella sua interezza, a suo avviso?

Guardi, le grandi democrazie liberali si basano su due capisaldi, la sovranità popolare e la legalità, ed entrambi questi pilastri sono richiamati dall’intervento di Napolitano. Qui in Italia, invece, e solo in Italia, si è pensato di privilegiare solo uno degli aspetti. Così il centrodestra ha eletto a mito la sovranità popolare, e la sinistra la legalità. Questo momento drammatico è solo la precipitazione finale di questa visione monca della democrazia. Perciò per una  vera pacificazione il centrodestra deve far suo il rispetto della legalità, e il centrosinistra il rispetto della sovranità popolare. Alla necessità di questa  piena compiutezza della democrazia ci ha richiamato  Napolitano.

Dunque Berlusconi deve prendere atto della condanna .

Non c’è dubbio che l’accettazione della sentenza sia premessa necessaria, pur mantenendo legittimamente la convinzione che essa sia ingiusta. Fra l’altro l’accettazione è anche precondizione di ogni eventuale commutazione della pena o domanda di grazia, insieme all’esplicita richiesta, come ha chiarito Napolitano. 

L’altro corno è la sovranità popolare, strettamente collegato alla cosiddetta “agibilità politica” di Berlusconi…

Sì, appunto, facciamo un esempio. Sono in molti a pensare che Berlusconi prima ancora della sentenza avrebbe dovuto dimettersi già da tempo. È probabile che sia vero. Eppure non si può non tenere conto che 10 milioni di italiani lo hanno seguito anche in queste ultime elezioni, con un consenso che praticamente gli appartiene ed è difficilmente trasferibile. Ecco perché per sbrogliare la matassa rispetto della legalità e rispetto della sovranità popolare devono andare di pari passo.

Dunque al Pdl che cosa consiglierebbe?

Berlusconi e il suo partito devono risolvere una difficile equazione: rispettare la sentenza senza rinunciare alla rappresentanza politica di Berlusconi. La formula in cui questo possa avvenire sta a loro deciderla – si può essere leader politico senza sedere in Parlamento – ma non c’è dubbio che è questa la cruna dell’ago per governare questa emergenza. Viceversa rovesciare il tavolo, far cadere il governo Letta, per altro in un  momento in cui si intravede la ripresa, produrrebbe solo un gravissimo danno all’Italia, e dubito che Berlusconi potrebbe conquistare agibilità politica provocando danno all’Italia. 

E al Pd, che cosa dice?

Che fa bene a chiedere il rispetto della sentenza da parte del cittadino  Silvio Berlusconi, ma sbaglierebbe a dare l’impressione di voler usare questa sentenza per far fuori il Berlusconi leader politico, ignorando il suo “effetto di rappresentanza” popolare. E che sbaglierebbe ancora a trasferire sul governo lo scontro interno con Renzi che coltiva in modo evidente l’obiettivo di andare al voto al più presto. Paradossalmente se prevalesse questa  linea il Pd coltiverebbe la stessa posizione dei falchi del Pdl. guai dunque da una parte e dall’altra a usare la sentenza come alibi per interrompere il cammino del governo…

E alla sua componente centrista che cosa si sente di dire?

La strategia che Casini lanciò con coraggio nel 2008 e che io chiamo il “terzismo responsabile” ha vinto nei fatti con la crisi del bipolarismo “coatto”  e la nascita della stagione delle larghe intese da Monti a Letta. Ma ha perso nelle urne: allora dalla ormai affermata contestazione al bipolarismo bisogna passare alla costruzione di un vero bipolarismo europeo, il che per una formazione come la nostra non può che significare la partecipazione alla costruzione di una grande area che faccia riferimento al Partito popolare europeo.  

Con il Pdl, con Berlusconi?

Il nostro riferimento è il Ppe. Quanto al Pdl molto dipende dalle cose di cui stiamo discutendo oggi. Se prevarrà la linea dell’interesse nazionale le cose saranno più chiare. Se invece si soffierà sul fuoco vuol dire che si sarà fatta la scelta del partito populista europeo, non di quello popolare. Ecco perché il mio auspicio è che Berlusconi continui a dimostrare quella intelligenza e quella responsabilità che ha fatto prevalere negli ultimi tempi e che rispettando la sentenza voglia anche far proseguire l’esperienza del governo Letta.

Monti però si è mostrato incerto sulla collocazione europea.

A Monti vanno riconosciuti grandi meriti, primo fra tutti quello di essersi messo al servizio del Paese salvandolo in un momento drammatico.  Lui però ha avuto un destino opposto a quello di Berlusconi: quest’ultimo non è mai riuscito a trasformare il suo carisma politico in carisma istituzionale, Monti viceversa non è riuscito a trasformare il suo carisma istituzionale in carisma politico. Detto questo i rapporti tra Monti e il Ppe sono sempre stati ottimi, il professore piuttosto deve fare i conti con un’area di Scelta civica che in Italia guarda a sinistra e in Europa guarda ad altre esperienze. È una divisione che non può durare ancora troppo  a lungo. 

Ma il Pdl, sulla spinta della condanna a Berlusconi, sembra perseguire ancor più la strada del partito personale, fino ad ipotizzare la successione dinastica.

Marina Berlusconi ha già precisato di non essere disponibile alla politica. Ma tralasciamo le chiacchierare estive e andiamo ai veri nodi: al di là  di questo il problema non è la successione di Berlusconi, il problema è  la “successione” dell’area  popolare. Da questo punto di vista Berlusconi  deve davvero fare un passo indietro  ma non nel senso che debba per forza lasciare la politica, piuttosto un passo indietro nel tempo: deve tornare a prima del predellino, che è  stato lo Zabriskie point del centrodestra, generando solo processi negativi e spaccature. Occorre trasformare il campo dei moderati in una nuova area politica che faccia riferimento ai valori del Ppe e non venga rappresentato solo da un partito personale.

Berlusconi non l’ha fatto da uomo libero, lo farà da condannato?

Se vuole finire sui libri di storia non con una conclusione ingloriosa della sua vita politica, ma per aver avviato un processo nuovo e duraturo, proprio ora che è in difficoltà deve dimostrare intelligenza, generosità e lungimiranza. Salvare il governo e rendersi disponibile a preparare il futuro.

di Angelo Picariello
da “Avvenire” del 15 agosto 2013










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