D’Onofrio, Riforme: non basta decidere

Vedo che ci stiamo contenendo tutti nei minuti consentiti e quindi è molto probabile che riusciremo a svolgere tutto il nostro compito.
Vorrei pertanto cercare di concorrere a questo dibattito un po’ dal punto di vista costituzionalistico-storico, un po’ dal punto di vista politico-istituzionale (a differenza del collega Ceccanti io sono un ex parlamentare che ora è professore, mentre lui è un professore che ora è diventato parlamentare, quindi in un certo senso dovremmo entrambi evitare l’errore di analisi).
Per iniziare vorrei dire che dobbiamo considerare che vi è stata una rottura fondamentale dal ’94 in poi: noi siamo infatti vissuti dal 1946 al 1992 con un sistema definito parlamentare sostanzialmente basato sui partiti politici caratterizzati dal fatto che concorrevano tutti all’ arco costituzionale. La forma di governo pertanto conviveva con la logica dell’ arco costituzionale ed era fondata su partiti che avevano come obiettivo il fare alleanze politiche per governare il Paese: dal ’94 in poi siamo passati invece, sulla base del cosiddetto referendum Segni del ’93, ad un sistema totalmente diverso nel quale si confrontano cartelli elettorali per vincere le elezioni.
Questo fatto è radicalmente diverso dal sistema parlamentare che noi conoscevamo perché i cartelli elettorali per vincete le elezioni sono naturalmente portati di fatto al bipartitismo, o quanto meno ad un bipolarismo nel quale vi sono due formazioni politiche delle quali una vince le elezioni mentre l’altra anche se le perde ha concorso per vincere le elezioni e quindi vi è la tentazione di arrivare a un sistema nel quale anche chi ha perduto le elezioni ha comunque concorso a vincerle e quindi conta di più chi vince le elezioni che non l’alleanza per costruire un governo.
Questo è il punto fondamentale sul quale mi sembra che il seminario dovrebbe poter dare il proprio contributo. È infatti molto difficile parlare di sistema parlamentare nel contesto nel quale ci troviamo dal ’94 in poi, temo senza una sufficiente riflessione, a cominciare dall’ elezione diretta del sindaco, (cosa che continuo a ritenere assolutamente giusta perché nei Comuni esiste un rapporto di vicinanza dei cittadini nei confronti del sindaco, anche in città grandi come Roma e Milano, Bologna, Firenze e Napoli).
Molto diverso deve essere il ragionamento – e in questo senso il documento presentato da Bassanini è molto significativo proprio da questo punto di vista – perché è molto diverso il rapporto dei cittadini con le Regioni, e totalmente diverso quello di tutti gli italiani con il governo nazionale. Parlare del “Sindaco d’Italia” significa. dunque proporre esattamente l’opposto di sistema parlamentare.
Occorre pertanto capire se vogliamo completare la riforma cominciata nel ’94 con una legge elettorale che ha abbandonato la logica delle alleanze politiche facendola sostituire da quella dei cartelli elettorali, che sono quelli che abbiamo conosciuto dal ’94 in poi, o se vogliamo andare da un’altra parte.
I cartelli elettorali erano infatti all’inizio della nuova stagione dapprima molto compositi, in seguito sono stati sempre più semplificati, perché la semplificazione, ed infine la reductio ad unum è diventata la nuova parola d’ordine positiva. Non mi meraviglio pertanto che alla fine i cartelli elettorali diventino cartelli di due grandi partiti e di conseguenza chi accetta questa semplificazione ci sta, chi non 1’accetta non ci sta, il resto non esiste più.
Questo è il motivo per il quale si parla di finto bipartitismo da parte di molti di noi: questo finto bipartitismo non è infatti conseguenza di alleanze politiche basate su due partiti grandi ma sul fatto che due cartelli grandi sono quelli posti a fondamento dell’indirizzo di governo. Questo è il punto radicale di svolta.
Mi sembra pertanto che la riflessione dei colleghi costituzionalisti debba essere chiamata a valutare soprattutto la compatibilità di questa evoluzione legislativa ordinaria con la forma di governo prevista dalla Costituzione vigente, perché non abbiamo avuto riforme costituzionali della forma di governo dal ’94 in poi.
Ricordo infatti che la Commissione bicamerale conosciuta come la De Mita-Iotti del ’92-’94, rappresentò l’ultimo tentativo di combinare il governo parlamentare con le tentazioni di far prevalere il voto popolare rispetto alle alleanze politiche, perché dopo1994 (è qui il Presidente D’Alema che lo ricorda certamente), la Commissione D’Alema visse altrettanto sulla spinta del prevalere del voto popolare rispetto alle alleanze politiche, anche se in quel momento sembravano decisivi, come ancora oggi risultano essere decisivi, il tema giustizia e quello Stato e non quello del Parlamento e del governo.
E la giustizia – come sappiamo – è rimasto un problema fondamentale ancora oggi. Caro Bassanini – se un seminario come quello di oggi fosse fatto a Milano – , sono certo che parleremmo molto più della Lega perché temo che si commetta a proposito della Lega l’errore di ritenerlo un fenomeno territorialmente limitato, mentre essa esprime una diversa concezione della politica nazionale tutta, come è dimostrato dal fatto che in passato vi sono stati Ministri leghisti del lavoro e della giustizia ed oggi abbiamo Ministri leghisti dell’interno e dell’ agricoltura, ossia di politiche nazionali e non soltanto locali.
Questa è infatti – a mio giudizio – la differenza radicale tra la Lega e partiti esclusivamente territoriali, che puntano ad avere soltanto qualche seggio in più sul loro territorio. Questa è – sempre a mio giudizio – la differenza di fondo tra la Lega e il Partito catalano.
Lo dico perché ho l’impressione, che, quando ‘parliamo di partiti nazionali intermedi, piccoli o medi, per alleanze politiche, dobbiamo tener presente che esiste anche un partito medio come partito a radicamento territoriale che fa parte della cultura del pluripartitismo e questa è la ragione per la quale ho il timore, anzi ho la convinzione non il timore, che la Lega abbia il «terrore» di un referendum che stabilizzi come partito il cartello elettorale vincente perché la Lega non vuol far parte di un cartello elettorale, ma di un’ alleanza con i vantaggi di programma di un’ alleanza che vince le elezioni e non solo di un cartello elettorale.
Questo è un punto fondamentale: è la cultura del pluripartitismo radicata dal punto di vista politico in Italia oggi e da questo punto di vista questo seminario dovrebbe, a mio giudizio, dire che il governo parlamentare comunque modificato, comunque rafforzato nel senso del Primo ministro, comunque reso neoparlamentare rimane ancorato a un sostanziale pluripartitismo. Questo è il punto fondamentale, perche il sistema parlamentare comunque modificato non si limita soltanto a schieramenti elettorali nei quali si confrontano due blocchi elettorali, uno dei quali prevale sull’ altro.
Questa evoluzione porta tra l’altro all’imbarbarimento della politica, in quanto lo scontro elettorale vissuto quale unico motivo della vita politica può condurre al non governo del Paese nel corso degli anni compresi tra una elezione e l’altra. La domanda che dobbiamo porci a questo punto è pertanto: vogliamo concorrere ad avere un governo capace di governare il paese anche tra una elezione e l’altra, o vogliamo limitarci alla costruzione di cartelli elettorali chiamati a combattere soltanto per vincere le elezioni politiche? Le elezioni sono ovviamente un fatto importante, guai a considerarle un fatto irrilevante; ma esse non possono diventare il fatto unico della legislatura perché esse comportano il rischio di essere la premessa di un governo di tipo personalizzato, al limite persino antidemocratico perché non ha nulla a che vedere con un governo pluripartitico-parlamentare. Proporre pertanto oggi un governo che resti di natura parlamentare significa prendere atto che dal ’94 in poi siamo stati governati dalla logica dei cartelli elettorali per la elezione di sindaci, presidenti di Provincia e presidenti di Regioni, mentre non accettiamo la logica dei cartelli elettorali ed è per questo che diviene così importante la legge elettorale europea perché nelle elezioni per il Parlamento europeo non è in gioco nessuna formazione di governo, né nazionale né europeo.
Questo seminario può rappresentare la premessa di un ragionamento che faccia ripartire il dibattito sulla riforma istituzionale, non per un ritorno indietro, come teme il collega Ceccanti, perché nessuno vuol tornare alla Prima Repubblica; ma non vorrei neanche tradurre in via definitiva 1’assetto costituzionale di questa transizione della Seconda Repubblica che ancora non é finita. Occorre un equilibrio diverso, ma pur sempre un equilibrio che rimanga nel solco delle grandi tradizioni parlamentari europee.

Tratto da Astrid.
“Per una moderna democrazia europea” (Firenze 2008 – Passigli editore)










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