Ancora una volta la questione di fondo è sempre la stessa: qual è il modello di democrazia che proponiamo allorché parliamo di ridurre il numero dei parlamentari? Non da oggi infatti si afferma l’opportunità o se si vuole la necessità di ridurre il numero attuale di deputati e senatori.
In una ampia riforma costituzionale varata in Parlamento da una maggioranza di cui faceva parte anche l’Udc, tra le altre riforme costituzionali era infatti prevista e stabilita anche una consistente riduzione del numero di deputati e senatori. Quella riforma fu respinta dagli italiani con un referendum popolare per un insieme di ragioni tra le quali è del tutto probabile che non fu considerata decisiva proprio la riduzione dei parlamentari. In caso contrario dovremmo persino ritenere che gli italiani si sono già espressi pochi anni fa proprio contro la riduzione degli stessi. Il che sarebbe evidentemente assurdo perché non vi è alcun dubbio che tutte le proposte di riduzione del numero di parlamentari sono sempre state accolte da un consenso popolare certamente largo.
Si tratta dunque di capire anche in questo caso quale sia l’idea complessiva di democrazia che si ha in mente: rappresentanza popolare e politica o semplice strumento di decisione politica? Queste sembrano le due grandi alternative di fronte alle quali si viene a trovare chiunque voglia affrontare il problema complessivo dei sistemi elettorali di volta in volta considerati. Allorché si affronta il problema del numero dei parlamentari nel contesto delle trasformazioni in atto dello stesso modello democratico intervenuto nel corso degli ultimi duecento anni nelle diversi parti del mondo che hanno sperimentato appunto il modello democratico, la scelta delle persone nei consigli comunali, regionali e nazionali da un lato e – per quel che concerne l’Italia – nel Parlamento europeo dall’altro, ha rappresentato e rappresenta un punto di fondo in riferimento alla esistenza o meno di una attività politica considerata nella sua specificità anche tecnico-professionale rispetto alle altre attività tecnico-professionali considerate complessivamente capaci di affrontare specifiche questioni – quale ad esempio quelle mediche o ingegneristiche – che la vita individuale o associata comporta. Chiunque ritenga che non esiste una specificità politica anche tecnico-professionale tende a ritenere che soltanto altre attività tecnico-professionali sono legittime e apprezzabili.
In questa visione della democrazia non vi è dunque spazio autonomo per una professione politica intesa in senso stretto, popolarmente fondata perché riferita a persone in carne ed ossa situate su un determinato territorio e portatrici di interessi molteplici. Non vi è di conseguenza alcuno spazio di rappresentanza popolare e/o territoriale per quanti sono chiamati ad essere eletti nei consigli comunali o regionali e nel Parlamento nazionale.
L’equilibrio tra rappresentanza politica e base popolare della rappresentanza medesima può certamente condurre a ritenere eccessivo il numero complessivo dei seggi spettanti ai consigli comunali o regionali e al Parlamento nazionale, perché in tal caso la questione del numero degli eletti diventa funzionale rispetto all’equilibrio medesimo e non già rispetto ad esigenze di governabilità complessiva dei sistemi.
Quella che stiamo vivendo in Italia è dunque una stagione politico-costituzionale che interpella proprio sulla questione di fondo concernente l’idea stessa di democrazia che si ha in mente.
Se si intende lavorare per un equilibrio costituzionale anche diverso da quello della cosiddetta Prima Repubblica si può certamente ottenere un consenso parlamentare largo, perché la pur necessaria professionalità politica ha troppo spesso finito con l’ignorare le ragioni di fondo della stessa rappresentanza popolare e/o territoriale. La professionalità politica ha infatti nella rappresentatività territoriale e ideale la propria specifica caratteristica tecnica: il numero complessivo è sempre modificabile in un contesto di equilibri costituzionali complessivi, ma non si può in alcun modo ignorare che nella rappresentanza vi è un continuo e costante punto di riferimento che i cittadini elettori trovano proprio nei consiglieri comunali e regionali da un lato e parlamentari dall’altro.
Diverso è il caso della elezione dei rappresentati italiani al Parlamento europeo perché in questo caso si è in presenza di un processo di unificazione europea non ancora con concluso. Qualora si ritenga pertanto che meriti considerazione soltanto la decisione elettorale di investitura del governo e del suo capo, la questione del numero dei parlamentari diventa puramente accessoria rispetto al governo medesimo e non è più costitutiva – come deve essere – di significato profondo di rappresentanza popolare.
di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 23 maggio