D’Onofrio: La sfida alla Cei è la rottura tra trono e altare

«La rottura con la Chiesa è profondissima. La vicenda è tutt’altro che conclusa con le dimissioni di Dino Boffo». Francesco D’Onofrio, dell’Udc, è un politico e un giurista attento ai dettagli. «L’attacco di Feltri alla Chiesa – sostiene l’ex capogruppo centrista al Senato – dimostra una rozzezza culturale che sfigura la realtà istituzionale e morale della Chiesa. Soprattutto di una Chiesa particolare come quella italiana».

Perché dice rottura profondissima?
Boffo non è un qualsiasi direttore di giornale come quello di Repubblica o del manifesto. Avvenire è il quotidiano della Cei. Feltri ha colpito Boffo per sostenere che contro Berlusconi può lanciare la pietra solo chi è senza peccato. Ma è una tesi gravissima se riferita alla Chiesa, che ha di per sé l’autorità morale sufficiente per giudicare il presidente del Consiglio. In questo senso è un conflitto simile a quelli tra «trono e altare» del passato. E poi sembra si ignori la realtà perfino istituzionale della Chiesa italiana.

Cioè?
Ci si dimentica che solo in Italia il presidente della conferenza episcopale è nominato direttamente dal Papa. Tra Vaticano e Cei c’è un rapporto particolare. In tutti gli altri paesi del mondo i vescovi scelgono da soli il proprio presidente.

Eppure la Cei appare la prima sconfitta di questo scontro.
Vede, la Chiesa non può rinunciare a esercitare la sua autorità morale sul bene e sul male. Deve esprimersi per sua natura. E la Chiesa sceglie sempre la melior pars più che la maior pars. Lo stesso Bagnasco ha ribadito che non basta il consenso popolare per stabilire ciò che è bene e ciò che è male. La Chiesa ritiene di avere un diritto naturale a esprimere giudizi morali.

Il punto è che la santa sede e l’Osservatore romano non l’hanno fatto. Rivendicando questa scelta. Perché?
Il rapporto tra Segreteria di Stato e Conferenza episcopale è sempre stato delicato. La Segreteria di Stato vaticana tratta con tutti i governi e tutti gli stati, è ovvio che debba avere buoni rapporti con lo stato italiano. I vescovi invece si occupano dei fedeli italiani e sono cittadini italiani a loro volta. Hanno un rapporto indiretto con lo stato ma un rapporto molto diretto coi cittadini cattolici. Per questo hanno il diritto e il dovere di esprimersi sulle scelte dei governi nel rispetto delle reciproche prerogative. Ci sarà un po’ di silenziatore ma durerà poco. Non è escluso che rimanga una sorta di doppio binario. La Segreteria di Stato continuerà a essere più prudente mentre i vescovi saranno obbligati a tenere conto delle sensibilità delle proprie diocesi e dunque più interventisti. Ma la Chiesa è una. Le diffidenze dei cattolici verso Berlusconi rimarranno. Non credo che il prossimo direttore di Avvenire potrà censurare le lettere dei suoi lettori.

Secondo lei la caduta di Boffo è la fine definitiva dell’«era Ruini»?
Come persone forse è vero. Ma come progetto culturale e antropologico della società italiana l’«era Ruini» è tutt’altro che finita. Anzi.

Camillo Ruini però è stato quello che più si era speso per farvi alleare con il Pdl alle ultime politiche. La sua caduta è una sconfitta anche per voi?
Affatto. Berlusconi ha preteso fino all’ultimo che l’Udc si sciogliesse nel Pdl e noi siamo andati da soli. E’ una scelta strategica che rivendichiamo e che anzi si rafforza. Per esempio, sulle questioni della vita come aborto e biotestamento siamo più d’accordo con il centrodestra. Ma sulla famiglia, che per noi è un soggetto sociale, siamo più vicini al Pd. L’esigenza e l’esistenza del centro contro un bipolarismo che sfiora il bipartitismo sono oggi più forti che nel 2008.

Da soli al centro ma fino a quando? A marzo saranno le regionali.
Sono elezioni importantissime non solo per sapere chi governerà nelle singole regioni ma anche per capire quale sarà il futuro assetto politico. Leggo sui giornali che Berlusconi è ancora indeciso sull’Udc: o con il Pdl ovunque o niente. Ma noi ribadiamo che le alleanze si faranno caso per caso nel segno dell’autonomia territoriale. Possono anche essere disomogenee. Questa è una scelta politica strategica alla quale non rinunciamo. Nessun accordo generalizzato né col Pdl né col Pd.

Non è più difficile per voi allearvi col Pdl dopo lo scontro con la Chiesa?
Decideremo nei territori. Certo siamo molto diversi. Credo che Casini si esprimerà molto chiaramente agli stati generali dell’Udc il 13 settembre a Chianciano. Per allora avrà tutti gli elementi per esprimersi e il quadro sarà chiaro.

E con la Lega? Avete perfino votato contro il federalismo fiscale.
Sì ma non siamo contrari al federalismo. Noi siamo federalisti. Nel 2003 io ho partecipato alla riforma della costituzione del centrodestra. Abbiamo votato contro questo federalismo fiscale perché è una delega in bianco al governo senza chiarezza né economica né sui compiti di comuni e regioni.

Intervista di Matteo Bartocci a Francesco D’Onofrio, tratto da ‘Il manifesto’ del 05 settembre










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