II risultato del referendum Mirafiori è stato analizzato da molti punti di vista: il rapporto tra capitale e lavoro; quello tra lavoro e diritti; quello tra la Fiom e gli altri sindacati che si sono spesi per il sì; il rapporto tra la Fiat e la Chrysler e altri ancora.
Si tratta di argomenti certamente importanti perché attinenti a questioni fondamentali della produzione e della vendita di auto in Italia, in Europa, negli Stati Uniti e in altre parti del mondo. Ma non vi è dubbio che su tutti questi argomenti deve avere la precedenza la questione delle conseguenze che il processo di globalizzazione in atto deve avere e sta avendo anche per quel che concerne un settore produttivo particolarmente rilevante, qual è quello dell’automobile.
Il contratto proposto da Marchionne infatti è stato sostanzialmente motivato dalla necessità di passare da un sistema di relazioni industriali sostanzialmente vissuto all’interno dell’Italia, ad un tentativo di costruire un nuovo sistema di relazioni industriali caratterizzato appunto dal fatto che l’Italia non è più una sorta di isola separata dal resto del mondo ma, appunto, un segmento – seppur importante – del processo produttivo tipico della fase attuale della globalizzazione, della produzione di autovetture. Il contratto infatti è stato sostanzialmente vissuto quale una sorta di adeguamento necessario del sistema italiano di relazioni industriali al sistema oggi in qualche modo imposto dal mondo contemporaneo, caratterizzato appunto dalla competitività mondiale del mercato dell’autovettura.
Questa è infatti apparsa la questione di fondo posta dal referendum, e su questa questione occorre pertanto cercar di valutare quel che è necessario cambiare nel sistema di relazioni industriali che la Costituzione italiana ha scritto più di quarant’anni orsono, in un contesto nel quale sembrava che la stessa democrazia politica ed economica dovesse scegliere tra una soluzione individualistico-liberale e una soluzione collettivistico-comunista, mentre era evidente che si cercava anche di proporre un modello di relazioni industriali fondato più sulla ricerca del profitto comune a capitale e lavoro, e non sulla premessa di una contrapposizione irriducibile tra capitale e lavoro medesimi.
Nella Costituzione vigente, infatti, l’intero sistema normativo concernente la produzione di beni e servizi, si fonda non solo sulla visione individualistico-liberale e su quella collettivistico-comunista, ma anche – seppur con difficoltà – su una visione solidaristica, che vede nella convergente tensione di capitale e lavoro verso la produzione di utili un punto essenziale per la stessa identità politica e sociale della democrazia che i Costituenti volevano proporre per l’Italia post-fascista.
Laddove si consideri la rilevanza strategica che il mondo Fiat ha avuto per l’Italia tutta, nell’arco di tempo che stiamo considerando, non sorprende pertanto il rilievo straordinario anche politico che ha avuto il referendum: non è più possibile avere un sistema di relazioni industriali che parta dal presupposto di una asserita specificità italiana. Qualora si consideri ancora più approfonditamente che il “compromesso” contenuto nella Costituzione italiana in riferimento al rapporto tra proprietà e lavoro si concretizzò in un insieme di formulazioni costituzionali che esprimevano da un lato l’apprezzamento per la piccola impresa artigiana e per la cooperazione, e dall’altro prendevano atto della necessità di rinviare a soluzioni legislative necessariamente mutevoli nel tempo, le stesse disposizioni costituzionali concernenti l’equilibrio tra capitale e lavoro o – se si vuole – tra piano e mercato, si possono valutare le conseguenze del referendum medesimo per l’intero sistema di relazioni industriali.
È in questo contesto, infatti, che il risultato del referendum assume un significato destinato ad andare molto oltre Mirafiori, perché i risultati pur positivi quanto a risultato finale del referendum medesimo finiranno con l’avere certamente conseguenze rilevanti per la produzione di autovetture, anche al di fuori di Torino, ma significative anche per la ricerca di un nuovo equilibrio tra esigenze di mercato e forme anche nuove di partecipazione degli operai alle strategie ed agli utili di azienda. Appare opportuno rilevare in questo contesto che il processo di globalizzazione in atto pone la Fiat in contatto con sistemi di produzione dell’auto molto diversi tra di loro, sia per quel che concerne il costo del lavoro per unità di prodotto, sia per quel che concerne il rapporto tra capitale e lavoro all’interno di ciascun sistema.
Il tema della partecipazione agli utili deve essere pertanto visto anche oggi quale tema di fondo certamente antico, ma capace anche di continuo rinnovamento, e quale modello produttivo chiamato oggi a dare risposte alla sfida della globalizzazione.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 19 gennaio 2011.