Anche le vicende concernenti il cosiddetto “rubygate” hanno posto in evidenza una questione di fondo mai risolta dal 1993 ad oggi: quale rapporto deve sussistere tra il principio di sovranità popolare che tende alla legittimazione della funzione di governo e il principio – fondamentale per uno Stato di diritto – che consiste proprio nella legalità di funzioni diverse da quella di governo.
La Costituzione italiana – come tutti sappiamo – aveva finito con il conseguire su questo punto un equilibrio sostanzialmente nuovo rispetto a precedenti stagioni illiberali: la funzione di governo doveva essere esercitata sulla base del principio di maggioranza popolare riscontrabile al momento delle elezioni, mentre veniva affermato il principio tipico di uno stato di diritto in virtù del quale la legalità anche costituzionale veniva assicurata con l’insieme delle funzioni attribuite al Presidente della Repubblica, alla Corte costituzionale e alla Magistratura, sia inquirente sia giudicante.
L’equilibrio raggiunto allora dall’Assemblea costituente fu molto faticoso perché si trattava di combinare culture anche profondamente diverse l’una dall’altra proprio su questo punto. Basti rileggere a tal riguardo le considerazioni anche radicalmente divergenti sul principio di legalità e sul suo rapporto con la funzione di governo. Quell’equilibrio prevedeva pertanto che per governare era necessaria la convergenza parlamentare, capace di rappresentare una maggioranza reale del corpo elettorale, per come si esprime alle elezioni, mentre l’intera funzione di governo era circondata da un insieme di garanzie tipiche proprio di uno stato di diritto.
Si finì pertanto con lo stabilire da un lato che vi erano limiti costituzionali anche rispetto all’esercizio della funzione di governo, e dall’altro che la funzione politico-parlamentare era a sua volta garantita nei confronti delle istituzioni preposte all’esercizio delle funzioni tipiche dello stato di diritto con istituti tra i quali l’autorizzazione a procedere previste per i singoli parlamentari e con la previsione di specifici reati presidenziali e ministeriali.
Quel faticoso equilibrio è stato in parte spezzato nel 1993, e da allora non è mai stato né ricostruito anche formalmente fino in fondo, né si è dato vita ad un pur necessario nuovo equilibrio costituzionale tra politica e giustizia. Risiede proprio in questa mancata definizione di un nuovo equilibrio costituzionale il rischio che l’Italia sbandi o dal lato di una sorta di giustizialismo che pretende di perseguire i reati in nome di una superiore moralità, o dal lato di una sorta di populismo che affermi il primato della sovranità popolare anche contro il principio fondamentale di uno stato di diritto.
Occorre pertanto riuscire a lavorare per la ricerca di un nuovo e necessario equilibrio costituzionale: nuovo, perché consapevole degli eccessi ai quali aveva condotto il vecchio istituto dell’autorizzazione a procedere; equilibrio, perché sovranità popolare da un lato e stato di diritto dall’altro devono poter convivere se si vuoi impedire la caduta dell’intero sistema politico italiano, giustizialista o populista che sia. È dunque dal 1993 che l’Italia oscilla tra un’affermazione tendenzialmente assolutista e quindi autoritaria del principio della sovranità popolare, e l’attività non solo magistraturale che finisce con il negare un valore proprio del voto elettorale ai fini della funzione di governo.
Questo nuovo equilibrio deve pertanto trovare il modo di esprimersi o mediante una distinta ed apposita Assemblea costituente o mediante la compresenza di funzione costituente e funzione di governo nella maggioranza parlamentare: la prima strada fu tentata senza successo con la Bicamerale D’Alema; la seconda strada non è stata mai tentata, perché la maggioranza parlamentare ha oscillato tra affermazioni di propria autosufficienza e tentazione di intese con singoli parlamentari.
Questo appare oggi il punto politico-costituzionale di fronte al quale si trovano tutte le forze politiche, di maggioranza o di opposizione che siano: una stagione costituente, che pure è necessaria, non sembra ancora di imminente maturazione.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 27 gennaio 2011.