D’Onofrio: Politica estera ed interesse nazionale

II recentissimo dibattito parlamentare sulla vicenda libica è stato caratterizzato – come era possibile prevedere – da una sostanziale convergenza sul mantenimento dell’impegno italiano nel contesto Nato e Onu per quel che concerne le operazioni anche militari in Libia per impedire ulteriori aggressioni militari da parte di Gheddafi nei confronti dei civili libici.
Le votazioni concernenti le diverse mozioni presentate hanno pertanto fatto registrare un consenso largo sulla mozione originariamente presentata dalla Lega, e modificata soprattutto ad iniziativa del Pdl; sulla mozione originariamente presentata dal Nuovo Polo; e anche sulla mozione del Pd modificata rispetto al suo testo originario. Soltanto la mozione dell’Idv – che escludeva espressamente qualunque intervento militare – è stata respinta, come era altrettanto facilmente prevedibile. Si può pertanto rilevare una larga convergenza (come si suoi dire bipartisan) sulla partecipazione italiana alle attività “umanitarie” anche se con mezzi bellici, in una sostanziale continuità con gli impegni Nato che proprio l’Italia aveva ritenuto necessari per dare una attuazione – ritenuta accettabile – della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite.

Non ci si può peraltro fermare a questa convergenza, perché è infatti opportuno rilevare che le votazioni sulle diverse mozioni hanno posto in evidenza la sostanziale necessità di una politica estera italiana che tenga conto delle rilevanti novità intervenute rispetto alla antica decisione italiana dell’alleanza con gli Stati Uniti e di adesione alla Nato. È infatti necessario aver presente che quelle adesioni erano avvenute in un contesto allo stesso tempo di tendenziale modifica del principio della sovranità nazionale e di sconfitta militare anche italiana nella Seconda guerra mondiale.
Per quel che concerne la sovranità nazionale è opportuno ancora una volta ricordare che è stato nel corso di più secoli che nel continente europeo si è venuta affermando proprio la teoria e la prassi della sovranità degli Stati nazionali, che ha costituito la base medesima del diritto internazionale per molti secoli. Popolo-territorio-sovranità hanno infatti costituito il trittico fondamentale di identificazione degli Stati nazionali europei sia per il diritto, sia per la storia politica europea. I lunghi anni trascorsi dal Trattato di Westfalia alla seconda guerra mondiale hanno infatti visto proprio nella sovranità nazionale lo stesso punto fondamentale di discrimine nel rapporto tra pace e guerra.
La territorialità degli Stati nazionali aveva infatti finito con l’escludere dal territorio nazionale qualunque intervento straniero, ad eccezione di una vera e propria guerra dichiarata da uno Stato contro un altro Stato. Il progressivo passaggio dalla originaria sovranità nazionale degli Stati europei, alla sovranità nazionale fondata prevalentemente sulla capacità atomica di offesa e di difesa aveva finito con il far ritenere che solo gli Stati Uniti – all’indomani della seconda guerra mondiale – potevano affermare di essere titolari di una sovranità ancora integralmente considerata tale. Il rapporto tra Stati Uniti ed Europa veniva in quel momento consacrato dal Trattato Nato, mentre l’Unione Sovietica e la Cina ottenevano il riconoscimento del diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
L’indebolimento progressivo della sovranità nazionale dei Paesi europei conviveva a lungo con la Guerra fredda e finiva quasi con il nascondere l’indebolimento medesimo dei singoli Stati europei, armati o meno che fossero nuclearmente. La territorialità finiva pertanto con il cedere pian piano al processo di integrazione europea che nel contesto della Guerra fredda ed aveva allora un significato sostanzialmente diverso da oggi. Il diritto di escludere qualunque straniero dal proprio territorio, che aveva rappresentato un principio consustanziale per la nascita stessa degli Stati nazionali, era di fatto rilevabile quasi esclusivamente in riferimento al territorio degli Stati Uniti d’America.

La caduta delle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre del 2001 ha pertanto colpito al cuore anche questo principio di territorialità, come si sta frequentemente rilevando nel contesto della morte di Osama bin Laden. È pertanto in atto un serio ripensamento anche da parte americana del principio di territorialità nel contesto del processo di globalizzazione in atto: la fine della Guerra fredda da un lato, e l’emergere di nuove grandi potenze portatrici di una cultura diversa da quella europeostatunitense, sta ponendo in termini nuovi proprio il rapporto tra territorio e ordinamento civile.
È in questo contesto che sta assumendo un rilievo sempre nuovo il tema forse impropriamente definito dell’immigrazione. Questa infatti è stata a lungo ritenuta un fenomeno concernente singole persone da integrare nella cultura dominante del Paese di arrivo, mentre oggi siamo in presenza di un fenomeno anche nuovo che va esaminato alla luce dei rapporti tra culture diverse e non soltanto del rapporto tra cittadini provenienti da uno Stato e in movimento verso Stati anche culturalmente diversi dal proprio. Si tratta di un fenomeno nuovo che avrà probabilmente conseguenze rilevanti anche per quel che concerne l’apparentemente circoscritto caso libico.
Scontro di civiltà da un lato, dialogo multiculturale dall’altro sembrano infatti costituire oggi la biforcazione di fondo di fronte alla quale operare la scelta tra politica estera e interesse nazionale. L’Italia possiede le basi culturali per affrontare adeguatamente questa scelta: mai come oggi occorre peraltro avere un’idea di Italia che abbia al proprio interno anche l’idea del suo territorio.

Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 7 maggio 2011

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