Tra l’individuo e la comunità ripartiamo dal concetto di persona
II processo di globalizzazione in atto appare orientato a porre in termini antichi – per noi europei – il rapporto tra libertà individuale e comunità sociale. Non è infatti facile districarsi tra le conseguenze filosofiche che questo problema ha avuto ed ha oggi nel complesso rapporto tra fede e ragione, che ha indotto per molti secoli gli uni a considerare il Medioevo un tempo buio per tutta l’umanità, e gli altri a ritenere che proprio la modernità abbia finito col rinchiudere la religione in un ambito di libertà individuale tendenzialmente privato.
Allorché pertanto veniamo a trovarci di fronte alle questioni del multiculturalismo nell’era della globalizzazione, dobbiamo sempre essere consapevoli che la presenza su un medesimo territorio di una pluralità di culture è questione diversa dal fare del multiculturalismo una strategia politica che si fermi alla mera constatazione della presenza di più culture, giungendo persino ad una sostanziale indifferenza dello Stato rispetto alle culture medesime. Se guardiamo infatti al processo di formazione dello Stato nell’Europa continentale vediamo che esso si è caratterizzato per l’affermazione della compresenza necessaria di popolo, territorio e sovranità perché si potesse affermare che si era in presenza di uno Stato in senso europeo continentale. Siamo pertanto portati a rilevare che il multiculturalismo attiene o all’elemento del popolo o all’elemento del territorio, mentre l’elemento della sovranità ha rappresentato per molti secoli proprio l’elemento conclusivo ed essenziale della statualità. Una rigorosa separazione degli Stati tra di loro ha dunque finito col far ritenere che la multiculturalità era sostanzialmente limitata a problemi interni a ciascuno Stato, e mai ad elementi esterni allo Stato medesimo.
Nel corso degli ultimi due secoli si è assistito invece alla progressiva attenuazione della sovranità esterna dei singoli Stati che – soprattutto dopo la fine della seconda mondiale – ha pertanto registrato una crisi crescente. Si tratta dunque di un fenomeno vecchio e nuovo allo stesso tempo. Vecchio, perché ha riguardato la formazione stessa degli Stati europei continentali nel corso di più secoli durante i quali alcuni di essi hanno vissuto in modi diversi l’esperienza del colonialismo. Nuovo, perché il superamento della antica statualità è avvenuto e sta avvenendo in modi anche profondamente diversi come dimostra la storia degli Stati europei negli ultimi sessant’anni. Il processo della globalizzazione pone pertanto alla multiculturalità un insieme di sfide vecchie e nuove: vecchie, perché – come si è detto – popolo e territorio hanno vissuto in modi molto diversi il processo del rapporto tra unità e varietà (basti pensare da un lato, al “meticciato” brasiliano e al “federalismo” statunitense e dall’altro, alle tante esperienze europee continentali e non); e nuove, rappresentate soprattutto dai più recenti flussi di immigrazione non più contenibili in episodi prevalentemente individuali. Emerge pertanto oggi una nuova e complessa questione di identità: diventano infatti sempre più frequenti i casi nei quali convivono sullo stesso territorio identità nazionali e collettive che traggono origine da società diverse,non sempre rappresentate dalla vecchia idea europea di sovranità statuale. Sorge pertanto in tempi più vicini questo problema del rapporto tra una pluralità di culture non più contenute dentro la “corazza” del vecchio Stato nazionale europeo: questione antropologica dunque in primo luogo.
La domanda di fondo che occorre porsi concerne pertanto l’idea stessa di soggetto umano, del suo rapporto con altri soggetti umani non cittadini dello Stato in cui si arriva, ma soggetti umani certamente parti di rapporti sociali nei luoghi di provenienza: quale rapporto vi è tra l’appartenenza societaria di origine e l’approdo statuale di arrivo? Ed ecco che la questione diventa sociale ed antropologica allo stesso tempo.
La struttura sociale di origine concerne pertanto sia il rapporto di sangue che usiamo di solito chiamare familiare, sia il rapporto di territorio che siamo soliti definire locale e circoscritto. Viene di conseguenza in questione in termini radicalmente nuovi il concetto stesso di cittadinanza. Fino ad ora infatti la cittadinanza ha coinciso con l’appartenenza ad uno Stato, mentre alcune recenti e raffinate costruzioni sociologiche pongono in evidenza proprio il fatto che si deve prendere atto che esiste una cittadinanza societaria dalla quale lo Stato non può prescindere. Viene pertanto in evidenza l’insufficienza progressiva di una qualunque strategia politico-legislativa che intenda far perno esclusivamente sulla antica sovranità statuale. Trova pertanto fondamento in questa incompleta analisi teorica la crisi di qualunque modello politico-legislativo di multiculturalità. Assistiamo infatti ad una ricorrente tentazione di rivalutare i rapporti tra diverse culture in termini di superiorità delle une rispetto alle altre. È stata questa la strada del colonialismo; può essere questa la strada di un neo colonialismo, qualora si voglia imporre la propria idea di convivenza ad altre esperienze di convivenza ritenute per loro natura inidonee a concorrere in termini pacifici ad una più larga esperienza di eguaglianza delle opportunità soprattutto economiche. Questione antropologica dapprima dunque; fondamento societario dei rapporti interpersonali in seguito; non discriminazione sulla base della lingua o della religione dei singoli ancora; globalizzazione colonialista o non colonialista infine. Questione filosofica pertanto, perché essa concerne fino in fondo il significato ultimo del rapporto interpersonale linguistico, razziale e religioso. La stagione che siamo soliti definire della globalizazione sta dunque ponendo il multiculturalismo in una luce nuova rispetto al più antico fenomeno dell’immigrazione, e all’ancora più antico fenomeno della nascita dello Stato moderno. È come se venissero in rilievo contemporaneamente tutti i nodi che riguardano l’essere umano considerato in quanto tale. Nella globalizzazione, infatti, è tutto il pensiero europeo ad essere chiamato in causa.
Siamo dunque in presenza di una grande sfida planetaria di fronte alla quale è del tutto comprensibile – anche se non condivisibile – un atteggiamento di chiusura e persino di paura rispetto allo “straniero” e al ” nuovo”. Tra l’antica tentazione tipicamente francese della assimilazione, e la nuova tentazione sostanzialmente economicistica di una strategia multiculturalistica formalmente neutrale ma sostanzialmente indifferente rispetto alle diverse civiltà, tende a farsi strada – anche se una strategia fondata sulla persona umana, che tende alla interculturalità. Appare dunque necessario un fondamento antropologico che sappia fondare sul principio del reciproco riconoscimento, una politica interculturalistica di sostegno dell’alterità.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 7 giugno 2011