D’Onofrio: Referendum, tra voto e non voto

Si è molto discusso di un vero e proprio diritto al non voto di fronte ai referendum. Occorre peraltro non limitarsi ad una visione circoscritta a questi specifici referendum, ma saper andar oltre e guardare ad una visione sistemica dell’istituto referendario medesimo. L’istituto referendario abrogativo italiano costituisce infatti una sorta di unicum nel panorama delle democrazie liberal-democratiche. In altri Paesi, infatti, non vi sono referendum abrogativi di leggi, ma altri tipi di referendum: consultivi o propositivo-deliberativi.
All’Assemblea costituente italiana – infatti – si discusse molto sul rapporto tra la potestà legislativa parlamentare da un lato, e il potere anche normativo del corpo elettorale dall’altro.
La discussione su questo punto si intrecciò con quella concernente il voto politico: da considerare sempre e comunque esercizio di un diritto, o anche un vero e proprio dovere? In questo ultimo caso, prevedere una specifica sanzione per il non voto o limitarsi ad una semplice sollecitazione di tipo politico-morale?
È comunque opportuno aver sempre presente che la Costituzione la stava scrivendo una Assemblea costituente eletta con il sistema proporzionale, sì che ad un sistema di questo tipo occorre comunque guardare anche per l’equilibrio tra potestà legislativa parlamentare e potestà normativa abrogativa popolare.
Questo collegamento tra diritto e dovere di voto nelle elezioni politiche da un lato e diritto e dovere di voto nei referendum abrogativi dall’altro, va pertanto tenuto presente allorché si discute sull’esistenza o meno di un vero e proprio diritto al non voto sia nelle elezioni politiche sia nei referendum. Ulteriori considerazioni devono essere svolte in conseguenza dell’ampliamento della potestà legislativa regionale, intervenuto con il nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione. La materia referendaria risulta pertanto più complessa di quanto si è potuto constatare anche in riferimento ai quesiti referendari sottoposti agli italiani in questi giorni.
Alla luce del testo costituzionale vigente si può pertanto comprendere la specifica previsione di un quorum di validità perché un referendum abbia un effetto abrogativo di una legge. Ma occorre ben considerare che sono intervenute significative modifiche legislative proprio in riferimento alle leggi elettorali, anche se non sembra che si sia colto il collegamento certamente politico tra sistema elettorale e referendum popolare abrogativo.

Con l’ultima legge elettorale
nazionale (quella comunemente definita porcellum) si è sostanzialmente modificato proprio il rapporto tra potestà legislativa del parlamento e indirizzo politico del governo. L’esplicita previsione di un premio di maggioranza attribuito al partito o alla coalizione di partiti che siano risultati la maggiore tra le minoranze che si sono presentate al voto popolare, comporta infatti la necessità di una valutazione sistemica e non “rapsodica” del dibattito sul voto o non voto al referendum. In una valutazione sistemica infatti si può rilevare che l’istituto referendario abrogativo si configurava sostanzialmente come uno scontro tra corpo elettorale da un lato e parlamento dall’altro, entrambi fondandosi sul fatto – prima ancora che sul diritto – di una sostanziale eguale legittimazione a produrre norme legislative. Il sistema elettorale proporzionale faceva infatti dei parlamentari i rappresentanti del corpo elettorale. Vi era in tal caso la previsione di una sostanziale coincidenza tra la volontà del corpo elettorale e le leggi approvate dal Parlamento medesimo.

Si poteva in questo contesto comprendere la esplicita previsione di un quorum di validità per i referendum popolari abrogativi: le leggi approvate dal Parlamento erano sostanzialmente espressione quanto meno della volontà della maggioranza del corpo elettorale, sì che la previsione di un quorum di validità per i referendum finiva con lo stabilire una sorta di limite al medesimo potere abrogativo popolare. Allorché invece si opera con una legge elettorale che prevede esplicitamente un premio di maggioranza per chi ha vinto le elezioni, non si può più affermare che le leggi non siano espressione dell’indirizzo politico governativo, posto a fondamento dello stesso premio di maggioranza.
Siamo dunque in presenza di una sostanziale modifica sistemica dell’istituto referendario abrogativo: voluto inizialmente quale contrasto tra corpo elettorale e Parlamento, esso è diventato un istituto di sostanziale contrasto tra opposizione e maggioranza. Se si può dunque ritenere – da un punto di vista circoscritto – che si tratti ancora di un diritto di voto o di non voto, da un punto di vista sistemico, invece, è conseguente ritenere che si debba votare.

Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal dell’11 giugno 2011.

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