Direzione Nazionale UDC: il discorso del segretario Lorenzo Cesa

28 GIU – Care amiche, cari amici della Direzione Nazionale, cari Segretari regionali e provinciali, cari consiglieri regionali,  credo che l’incontro di oggi sia molto importante e opportuno. La situazione politica, economica e sociale del nostro Paese è in rapida evoluzione ed è indispensabile che un partito come il nostro – che per tradizione e per convinzione punta ad avere uno stretto rapporto con la società, secondo l’insegnamento che ci giunge dalla dottrina sociale della Chiesa – mantenga sempre viva l’attenzione su quanto accade intorno a noi per comprendere al meglio e, se possibile, anticipare e guidare, i processi di cambiamento in atto.

Per questo vi ringrazio per la vostra presenza e credo che il dibattito di oggi e gli spunti di lavoro che ne emergeranno per tutti noi, anche in vista dei prossimi mesi, saranno estremamente utili.

Comincerei questa mia introduzione da una brevissima analisi di quanto è accaduto nelle scorse settimane, a cominciare dai risultati delle elezioni amministrative.

Risultati che vanno interpretati con serietà.

E’ evidente che il voto ha punito duramente la maggioranza di governo e in primo luogo il premier, che ha fatto di tutto per chiamare gli elettori ad un referendum sulla sua persona ed ha avuto una risposta netta dagli italiani. La risposta è che il suo credito nei confronti del Paese è esaurito.

Ma se nell’analisi del voto ci limitassimo a questa lettura rischieremmo di commettere l’errore della sinistra, che oggi si sente vincitrice e già si vede a Palazzo Chigi, mentre rischia di fare la fine della gioiosa macchina da guerra di Occhetto se non comprende un po’ più in profondità il messaggio che gli italiani hanno voluto lanciare con le amministrative prima e con i referendum poi.

Ed è un messaggio che riguarda anche noi. Per cui anche noi, se non vogliamo imitare il centrodestra che si è asserragliato nel fortino del Parlamento e non ascolta più gli italiani, o il centrosinistra, che invece sembra aver capito fischi per fiaschi, dobbiamo interrogarci e trovare delle risposte. Anche in tempi rapidi.

Il messaggio uscito dalle urne è un messaggio in gran parte contro la politica. Contro tutta la politica. Dunque anche noi non possiamo far finta di niente come se i problemi non ci riguardassero.

D’altro canto di fronte ad un’Italia sempre più in crisi e in affanno, di fronte al bilancio di una Seconda Repubblica così sconfortante, come potrebbe non serpeggiare fra gli italiani la voglia di mandare tutti a quel paese?

Allora è giusto prendere atto che anche noi, pur avendo per primi denunciato la crisi del sistema, pur essendoci chiamati fuori per primi da questo bipolarismo, non siamo riusciti ad intercettare in pieno la voglia di cambiamento che attraversa la penisola.

Certo, nei 144 Comuni più grandi in cui si è votato, il nostro partito, contrariamente a tante letture semplicistiche, ha registrato una crescita rispetto alle precedenti amministrative.

Certo, in Sicilia, dove si è votato ancora più di recente, siamo andati davvero molto bene, a dimostrazione che padroni di voti non ce ne sono e che i voti seguono le idee e non le poltrone. E le nostre idee, i nostri valori, fanno presa sull’elettorato siciliano.

Ma questo non ci deve impedire di riflettere. Anzi deve spronarci a ragionare sul futuro. A fare autocritica, a smetterla di litigare tra noi in tante realtà locali per piccole e incomprensibili beghe interne, a impegnarci per rafforzare la presenza dell’Udc sul territorio. Ad essere più concreti e incisivi nelle amministrazioni locali in cui governiamo.

Deve spronarci soprattutto a moltiplicare le occasioni di dialogo e di confronto con il mondo esterno. Con l’associazionismo laico e cattolico, con il volontariato, con i gruppi di cittadini, giovani e meno giovani, che stanno riscoprendo la voglia e la necessità di impegnarsi in politica ma non sanno dove esprimere il loro entusiasmo e le loro idee perché la politica sembra respingerli, anziché incoraggiarli.

Certo non li incoraggiano Berlusconi e il centrodestra.

Vi ricordate la caricatura che faceva Corrado Guzzanti di Prodi qualche anno fa? Per Guzzanti, Prodi era sempre fermo, sempre uguale a se stesso, sempre nello stesso posto, come un semaforo. Bene, purtroppo da mesi Berlusconi sembra la caricatura di Prodi. Non fa più il premier. Berlusconi ormai è come un semaforo, è sempre fermo, sempre immobile. E con lui si è fermato il governo. Ma quel che è più grave, soprattutto si è fermato il Paese.

Al premier ormai interessa solo avere la maggioranza in Parlamento. Non per governare. Ma per continuare a rimanere immobile al suo posto. Incollato alla poltrona. Infatti ormai non fa altro che ripetere che arriverà a fine legislatura. Quello è il suo unico obiettivo.

Ma davvero pensa che gli italiani siano così interessati di sapere se arriva o non arriva a fine legislatura? Non gli viene il dubbio che gli italiani vorrebbero che di qui alla fine della legislatura facesse finalmente qualcosa per il Paese? Non chiacchiere, non annunci, non manifesti. Ma cose concrete.

Interventi per aiutare il Paese a uscire dalle secche della crisi. Per tornare a crescere. Per ridurre il debito pubblico e allontanare da noi lo spettro della Grecia.

Per restituire il lavoro a chi l’ha perso. Per dare una speranza ai giovani che oggi non ce l’hanno.

Per fermare l’esodo all’estero di 65 mila ragazzi all’anno, quasi tutti laureati, quello che dovrebbe essere il nostro vero tesoretto per il futuro, e che invece va ad arricchire di idee e voglia di fare i Paesi nostri concorrenti. Che gli immigrati, specie se preparati e di qualità, li accolgono a braccia aperte e non fanno di tutto per metterli alla porta.

Anche la Lega non fa nulla per incoraggiare la nuova voglia di partecipazione che si affaccia dalla società.

Anzi, Bossi ha ormai legato il suo destino e quello della Lega a Berlusconi e non è disposto ad ascoltare neppure più il suo elettorato che lo supplica di voltare pagina, altrimenti gli volterà le spalle. E ha già cominciato a farlo.

La drammatica situazione dei rifiuti è l’emblema di quanto Berlusconi e Bossi ormai siano lontani dalle urgenze e dai problemi dell’Italia. Entrambi giocano ancora a far finta che loro non c’entrano nulla. Che è sempre tutto colpa di altri.

Sono gli unici a non rendersi conto che chi ha governato per otto degli ultimi dieci anni non può pensare di addossare le colpe solo agli altri.

Tutta l’Italia sa che la sinistra ha enormi responsabilità per quanto accade a Napoli. Amministratori come Bassolino e Iervolino hanno fallito su tutta la linea e dimostrato quanto affidarsi solo alla cieca ideologia possa far male a una comunità. Perché quegli errori e quelle inefficienze oggi li stanno pagando i cittadini napoletani sulla loro pelle.

Ma quelle responsabilità, il Governo in carica, e dunque Berlusconi e la Lega, le condividono fino in fondo. Non si può governare tanto a lungo un Paese, riempire la gente di spot e di promesse, lasciare che i problemi marciscano come la spazzatura al sole e poi pensare di chiamarsi fuori.

Questo vale dunque anche per la Lega. L’Italia è unita da 150 anni. Chi pensa di spezzarla non ha fatto i conti con gli italiani. A partire da quelli del nord.

Bossi vuole rompere la solidarietà tra regioni? Così non capisce che rompe il rapporto con la stragrande maggioranza dei suoi elettori. Che sono arrabbiati, hanno una vena antipolitica, pretendono più efficienza, vorrebbero meno sprechi, più onestà dalla politica. Ma che, soprattutto, sono italiani anche loro. E, a parte una piccola minoranza di estremisti, si sentono italiani. Ecco perché la Lega ha perso in casa propria le ultime elezioni. Ecco perché ha perso a Milano, in molti comuni del nord e ha fallito l’obiettivo di incamerare i voti in uscita dal Pdl.

Il tema dei rifiuti a Napoli è un tema complesso. Richiede soluzioni complesse, un impegno comune ed immediato di enti locali, regioni del nord e del sud, Parlamento e Governo nazionale.  

Spezzare la solidarietà tra aree del Paese è populismo, frutta qualche voto nel breve periodo, ma alla lunga è un bluff che viene smascherato. La Lega per anni ha proposto al Paese i suoi bluff. Finché il sistema ha retto, finché l’economia ha tirato, non c’era bisogno di guardare dietro a quei bluff.

Ma appena il Paese è entrato in crisi tutte le ricette della Lega, come le ronde, i respingimenti dei clandestini, i dazi doganali, i medici spia, i presidi spia, l’euroscetticismo, si sono rivelate per quello che sono: pagliacciate. E gli italiani, tutti gli italiani, da nord a sud, hanno capito che da questa situazione o usciamo tutti insieme o finiremo con le ossa rotte.

Ecco perché la Lega ha perso voti perfino a casa sua, nel profondo nord. E oggi non è certo un caso se qualcuno nella loro classe dirigente comincia a interrogarsi ed emergono profonde divisioni in un partito che fino a ieri pareva di granito.

Ma alla domanda di cambiamento che emerge dal Paese non sembra essere in grado di rispondere nemmeno la sinistra. Che a giorni alterni ora punta su una nuova Unione e ora litiga su tutto al proprio interno esattamente come la vecchia Unione.

Il Pd non riesce a uscire da questo dilemma.

Mentre ho letto che Di Pietro ha dichiarato che suo padre aveva sempre con sé la tessera della Dc. E che dunque anche lui viene da lì. Dai cattolici, dai moderati. Gli è venuto perfino in mente che ha studiato in seminario. Insomma: Di Pietro è in politica da quindici anni e dopo quindici anni si è ricordato di essere un vero democristiano.

Ci manca solo che chieda di aderire all’Udc… non vorrei dargli un dispiacere, ma il tesseramento ormai è chiuso…

A parte gli scherzi, sono parole che si commentano da sole. I valori non si ricordano una volta ogni tanto. O si hanno o non si hanno. O ci si crede sempre, oppure, se vengono dimenticati per anni e poi all’improvviso sbandierati, vuol dire una cosa sola: che non ci si crede.

E poi c’è Vendola, che parla tanto di futuro ma poi sposa irresponsabilmente la battaglia retrograda e violenta di chi ieri ha tirato sassi ed estintori contro le forze dell’ordine e gli operai dei cantieri della Tav, opera senza la quale verremmo tagliati fuori dalle direttrici economiche d’Europa.

Allora di fronte a questo scenario è chiaro che noi non possiamo né chiamarci fuori né imitare le risposte sbagliate degli altri. Dobbiamo assumerci la responsabilità di cercare una strada diversa.

E noi quella strada l’abbiamo indicata da tempo e continuiamo a proporla: un nuovo governo di unità nazionale che affronti la crisi economica e finanziaria.

Rispondendo a Berlusconi che noi siamo pronti a collaborare per il bene del Paese. Se però lui, per il bene del Paese, fa un passo indietro e collabora alla nascita di un nuovo esecutivo, visto che il suo è irrimediabilmente in panne.

Altrimenti è meglio andare a votare, perché in qualche modo bisogna uscire da questo pantano.

Anche se in realtà temo che come al solito a Berlusconi interessi solo riprendere al più presto la sua guerra personale con i giudici. E noi naturalmente non lo seguiremo. Non sono le intercettazioni, i processi brevi e lunghi, i provvedimenti punitivi nei confronti dei pm, gli attacchi al Csm, la priorità dell’Italia.

La priorità è ridurre il debito pubblico che questo Governo ha fatto aumentare fino al 120% del Pil, avviare subito il risanamento che l’Europa ci chiede avendo il coraggio di chiedere sacrifici, ma mettendo in campo anche una serie di azioni per il rilancio dell’economia. Partendo innanzitutto dagli aiuti alle famiglie e alle imprese, intervenendo se necessario con la tassazione delle rendite finanziari e dei grandi patrimoni.

E ancora liberalizzazioni, taglio di enti inutili come le province, revisione del patto di stabilità per i Comuni virtuosi che potrebbero far ripartire le opere pubbliche ormai bloccate da anni.

E naturalmente anche la classe politica deve fare il suo: siamo pronti a discutere di un taglio dei costi della politica, a patto che tutto non si riduca ad uno spot demagogico da dare in pasto all’opinione pubblica, facendo credere magari che quei tagli siano la panacea di tutti i mali.

Su questo, sui contenuti, sui provvedimenti necessari al Paese per ritornare a crescere siamo concentrati e dovremo concentrarci sempre di più d’ora in poi insieme agli amici del Terzo Polo.

Le chiacchiere lasciamole agli altri. Noi pensiamo all’Italia. Questo sarà il significato dell’assemblea del Terzo Polo in programma il 22 luglio prossimo. E questo sarà il lavoro che ci attende durante il periodo estivo e alla festa di riapertura di Chianciano dal 9 all’11 settembre. A Chianciano, con il sostegno dei giovani che saranno i veri organizzatori della festa, dovremo essere pronti a proporre un progetto articolato e alternativo a questo sistema per il rilancio del Paese.

Subito dopo, dal 15 settembre, partirà la stagione dei congressi provinciali. E anche in quelle sedi saremo chiamati a dimostrare la nostra alternatività a questo centrodestra e a questo centrosinistra, utilizzando i congressi per discutere di contenuti, per offrire indicazioni al partito sui piani regionali e su quello nazionale.

I congressi – voglio essere chiaro su questo – saranno utili se si apriranno all’esterno, se coinvolgeranno sempre più persone ad impegnarsi in politica. Mentre saranno del tutto inutili se si risolveranno in una conta di voti per un regolamento di conti interno a livello locale.

Abbiamo una straordinaria opportunità davanti a noi.

Il Terzo Polo è ormai una realtà in questo Paese. Perfino il modo in cui si è imposto dalle Alpi alla Sicilia il nome Terzo Polo lo dimostra. Noi avremmo voluto trovare un altro nome, come è noto. Ma sono stati gli italiani e i media a sceglierlo per noi. E aver scelto proprio Terzo Polo significa che di un Polo alternativo, diverso dagli altri due che per quasi venti anni si sono divisi il Paese con risultati disastrosi, c’è un effettivo bisogno, una reale domanda che parte dal basso.

Allora il nostro compito è dare risposte a questa domanda. Risposte concrete, perché il Paese ha vissuto troppo a lungo sulla luna. Oggi è tempo di tornare con i piedi per terra. E’ il momento della concretezza e della serietà. Se ne saremo all’altezza è il nostro momento.

Il Paese è a un bivio: o imbocca definitivamente la via dell’antipolitica, e allora saremo travolti anche noi, ma alla fine la crisi travolgerà l’intero Paese perché l’antipolitica è un vicolo cieco. Oppure imbocca la via della serietà, del rigore e della responsabilità. E’ la nostra via, il nostro terreno naturale.

Mai come ora, dunque, è il momento di essere noi stessi ed avere il coraggio di sviluppare fino in fondo le nostre idee. Per il bene di un’Italia che merita molto di meglio rispetto al nulla di questa Seconda Repubblica. 

Grazie.

DIREZIONE NAZIONALE UDC – Discorso on. Lorenzo Cesa (Roma, 28 giugno 2011).pdf








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