Man mano che si passa da provvedimenti proposti dal governo in quanto strettamente collegati alla ipotesi della emergenza economica nella quale si è trovata l’Italia all’inizio dello scorso novembre, a provvedimenti per così dire di “politica generale” che singoli ministri del governo Monti prospettano all’esame dell’opinione pubblica in generale e delle Camere in particolare, si nota una particolare difficoltà istituzionale e politica nella quale si finisce con il trovare il governo Monti da un lato e dall’altro i partiti politici che lo sostengono in Parlamento.
Siamo infatti in presenza di una situazione complessivamente nuova dal punto di vista politico-parlamentare-governativo: il sostegno parlamentare accomuna Partito democratico, Popolo della libertà e Terzo Polo certamente per quel che concerne l’emergenza economica, ma non coincide con il programma politico che ciascuno di essi ha sin qui elaborato, e che finirà con il divenire la base sulla quale sarà costruita la nuova legge elettorale politica nazionale.
Occorre infatti aver presente che vi è una sorta di valore costitutivo comune ai tre soggetti politici che danno il proprio peraltro necessario sostegno parlamentare al governo: la costruzione di provvedimenti di emergenza economica necessari e complessivamente utili al progetto europeistico. Ne consegue che tutti i provvedimenti adottati o proposti dal governo Monti nel senso della loro necessità per una collocazione astrattamente definibile di coerenza europeistica sono stati posti alla base del rapporto di fiducia originariamente costruito proprio nei confronti del governo medesimo. Ma tutti sappiamo che il rapporto di fiducia consegue alla definizione di un programma generale politico del quale la dimensione economica è certamente essenziale ma mai esaustiva.
Nel contesto attuale occorre infatti rilevare che non siamo in presenza di una grande coalizione che abbia definito una sorta di programma generale comune che costituirebbe di conseguenza la base operativa del governo medesimo. Siamo infatti in presenza della ribadita intenzione della sostanziale alternatività bipolare di Partito democratico e Popolo della libertà, quasi che il governo Monti costituisca una sorta di “parentesi” giustificata dalla emergenza economica, ma non anche da un peraltro inesistente programma politico comune. Se infatti si passa a considerare le affermazioni poste a fondamento delle proposte politiche concernenti una nuova legge elettorale, apprendiamo ancora una volta che il problema di fondo resta quello della garanzia di una sostanziale alternatività tra i due partiti politici che sono attualmente non solo i due partiti politici maggiori, ma che affermano di ritenere di poter essere anche dopo Monti i due perni di un sistema bipolare.
Il governo Monti – a sua volta – come qualsiasi governo, non è tenuto in alcun modo a limitare la propria attività alle questioni definibili come di emergenza economica. Esso infatti (e i suoi singoli ministri in particolare) sta progressivamente affrontando anche questioni che non sono definibili come questioni di emergenza economica. Questo intreccio fra la dimensione della convergenza tra forze politiche che affermano di essere naturalmente alternative le une rispetto alle altre, e la reale alternatività tra di esse anche dopo il governo Monti, risulta sostanzialmente identico alla condizione nella quale si sono venuti a trovare gli Stati nazionali nel contesto del processo di integrazione europea.
La convergenza rispetto a provvedimenti definibili di emergenza economica è infatti una convergenza che si colloca sostanzialmente nella continuità di una grande strategia europeistica. Ma sappiamo bene che l’Italia non è stata caratterizzata da una convergenza di questo tipo sol che si consideri quante e quali divarificazioni sono rilevabili in un esame che vada dall’inizio del processo di costruzione europea fino ad oggi. Da questo punto di vista si può pertanto ritenere che il governo Monti si collochi in una sorta di continuità europeistica anche rispetto o a forze politiche che erano fortemente contrarie al processo medesimo, o a forze politiche del tutto nuove rispetto al processo europeistico. È come se si stesse passando anche in Italia da un contesto totalmente europeistico limitato a forze politiche che europeistiche lo erano fin dall’origine del processo medesimo, ad un contesto nuovo nel quale occorre in qualche modo definire in termini appunto nuovi i contenuti stessi delle alternative nazionali.
Così come gli Stati nazionali conservano una significativa autonomia per quel che concerne segmenti rilevanti del programma politico generale, ma sono sempre più privi di una sorta di diritto alla disomogeneità delle politiche economiche nazionali rispetto al processo di integrazione europea in atto, è necessario che si riesca a dar vita a soggetti politici anche nuovi che sappiano contemperare appunto l’europeismo di fondo del governo Monti con l’alternatività delle politiche nazionali.
Non è questo un problema concernente solo l’Italia ma non vi è dubbio che le peculiarità della nostra storia nazionale si stanno riflettendo con forza proprio nel rapporto tra sostegno parlamentare al governo Monti e visione politica prevalentemente interna.
Di Francesco D’Onofrio, tratto da Liberal del 18 febbraio 2012