(ANSA) – ROMA, 20 APR – “Contrariamente a quello che si scrive, sulle DAT, non mi pare sia in discussione il riconoscimento della libertà di sottrarsi alle cure, di fatto già presente nel nostro ordinamento, tantomeno lo è la definizione di un limite alle cure che non travalichi in accanimento terapeutico. Purtroppo, una norma che non fissa principi generali, ma che allude a tesi politiche o, peggio, a fatti di cronaca, genera gli equivoci e le ambiguità che stiamo registrando. La questione vera, invece, mi pare essere quella di come si esercita questa libertà di scelta, specie quando ciò avviene anticipatamente, e dunque sganciata da una patologia, da una ipotesi di terapia e dalla relazione con un medico. La norma si limita a riconoscerla nella sua freddezza astratta ed affida ad una procedura burocratica la soluzione dei tanti prevedibili conflitti”. Lo dichiara il deputato Giuseppe De Mita (Udc). “Allo stesso tempo – aggiunge De Mita – da un lato si riconosce la libertà alla persona e dall’altro la si abbandona alla solitudine. Pure il faticoso equilibrio tra la libertà di scelta del paziente e la libertà di astensione del medico è concepito dentro una logica di individui che rivendicano il proprio spazio e non dentro la prospettiva di una relazione tra soggetti che cercano di aiutarsi”. “La grande occasione perduta perciò non sta in un paventato eccesso di libertà individuale – conclude il deputato Udc – o in una possibilità di obiezione da parte del medico, ma nel non aver pensato a come evitare che l’uomo libero non diventi anche un uomo disperato”.